I tre guai dei conti pubblici italiani

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Ed ecco che il governo ritorna sulla questione tasse, dopo averle ridotte ai redditi fino a 50 mila Euro, passando da quattro aliquote a tre, costate più di 4 miliardi al bilancio dello Stato. Sono stati dunque migliorati in un anno i redditi con 150-200 Euro in più con il proposito di renderli stabili. Ora il Presidente Meloni intende puntare ad alleggerire i gravami fiscali anche ai redditi da 50 mila Euro in su: quelli del ceto medio. Un disegno arduo che dovrà vedersela con i guai della finanza pubblica.

Molti, ed io stesso tra questi, penso che tre sono i guai dei conti pubblici: la spesa improduttiva colpevole di favorire sprechi, clientele e imprese nemiche del mercato; l’annichilimento degli investimenti privati procurato dalla trascuratezza dei poteri pubblici sui fattori dello sviluppo; tasse alte provocate dal sistema fiscale opaco a ragione di tanti falsi poveri. Cioè evasori riparati dalle larghe maglie che li si fa accomunare ai veri poveri. Questa annosa questione sottrae allo Stato molte decine di miliardi e procura ingiustizie assai pericolose per la credibilità delle istituzioni repubblicane.

E’ sin troppo chiaro che in assenza di un’azione decisa d’intervento su questi aspetti, non potrà realizzarsi un vero ambizioso e realistico disegno di nuovo patto tra cittadino e Stato a partire dal fisco, ed ottenere una reale svolta culturale ed economica nel Paese. Eliminando i mali su descritti si potranno riassorbire le insoddisfazioni che nutrono populisti e demagoghi di ogni risma. Il disegno che si annuncia di riduzione dei gravami fiscali per i redditi oltre i 50 mila euro, di fatto si orienterebbe ad aiutare il ceto medio. Questa parte della società italiana negli ultimi decenni è stata relegata a cenerentola, depotenziando progressivamente la sua vocazione a risparmiare, investire, voglia innata a progredire, meritocratica. I risparmi sono stati colpiti da tassi d’interesse pressocché azzerati, il mattone ed ogni altro bene rifugio tartassato, copertura dello stato sociale in progressiva riduzione, mentre le tasse in costante rialzo poggiano larghissimamente su loro.

Insomma sono colpiti dal mantra che chi ha un reddito oltre i 50 mila Euro è benestante se non addirittura ricco. Come se le tasse sui redditi di Stato Regioni e Comuni, quelle sui patrimoni, e quelle indirette su cibo, energia, abitazioni e trasporto, utenze e vestiario, non congiurano a ridurre a lumicino desideri di svago ed investimenti. Questa dinamica politico sociale ha annichilito il ceto medio, quale indispensabile energia di una comunità che spinge al progresso, a fare di più, a promuoversi. E dunque dalla volontà di affrontare la sfida fiscale, con le operazioni che comporta per crearne le condizioni va verso la liberazione di una forza costruttrice oltre che lo sviluppo e la civiltà. A questa operazione si vuole sperare partecipino un largo schieramento politico pur nella necessaria ma produttiva dialettica. Da tale consapevolezza si potranno rimodulare le risorse dei contribuenti, ridare slancio all’economia, alimentare finalmente trasparenza e giustizia, quali requisiti di coesione sociale e sviluppo.