Gentili (Legambiente): “Nelle zone contaminate intorno Chernobyl la situazione è ancora grave”

Nell’anniversario del disastro nucleare di Chernobyl, l’intervista di Interris.it al responsabile nazionale agricoltura di Legambiente e del Progetto Rugiada Angelo Gentili

Foto di Kilian Karger su Unsplash

La memoria non invecchia e il suo messaggio è sempre attuale. Sono passati 37 anni dalla notte in cui l’Europa ha conosciuto il più grave incidente avvenuto in una centrale nucleare, quando alle una e ventitré minuti del 26 aprile il reattore RMBK 1000 numero quattro di Chernobyl esplode. A quasi quattro decenni di distanza, ancora oggi circa cinque milioni di persone vivono in un territorio contaminato, mangiando cibi e bevendo acqua radioattivi, correndo un grave rischio sanitario. Il 26 aprile è stato allora scelto dall’Assemblea generale delle Nazioni unite per celebrare la Giornata internazionale della memoria del disastro di Chernobyl.

L’area

Trentasei ore dopo l’incidente i quasi 50mila abitanti di Pripyat, città ad appena tre chilometri dall’impianto, furono evacuati, seguiti nei mesi successivi da altre 67.000 allontanate su ordine del governo. Sono circa 150mila i chilometri quadrati contaminati che si estendono tra Bielorussia, Russia e Ucraina, secondo quanto riporta l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea), fino a 500 chilometri a nord dell’impianto, mentre un’area di trenta chilometri intorno alla centrale è considerata la “zona di esclusione”, oggi disabitata.

Le vittime

Due lavoratori persero la vita nell’esplosione del reattore, riporta Aiea, mentre nei primi tre mesi successivi morirono, per malattia acuta da radiazioni e uno per arresto cardiaco, ventotto persone tra vigili del fuoco e addetti alla bonifica di emergenza. Più complesso valutare con precisione il numero di chi morì in seguito a causa dei tumori dovuti all’esposizione alle radiazioni. Secondo il documento Chernobyl Forum, un gruppo di esperti internazionali ha previsto che tra le 600mila persone più esposte alle radiazioni, ci sarebbe potuto essere un aumento della mortalità per cancro fino a quattromila tumori fatali in più rispetto a quelli che ci si potrebbe aspettare per cause in questa popolazione. Ma gli effetti delle radiazioni e la contaminazione del suolo e dell’acqua non hanno risparmiato neanche la fauna e la flora circostante, causando delle mutazioni. Per esempio, alcuni animali sono nati con deformazione fisiche.

Foto del dettaglio del “Monumento a coloro che salvarono il mondo” di beranekjosef da Pixabay

L’intervista

Nell’anniversario del disastro nucleare di Chernobyl, l’intervista di Interris.it al responsabile nazionale agricoltura di Legambiente e del Progetto Rugiada Angelo Gentili.

Cosa vuole dire ricordare il disastro, a quasi quattro decenni di distanza?

“L’anniversario di Chernobyl è una ricorrenza importante per far capire in maniera chiara all’opinione pubblica quanto, ancora oggi, la situazione nelle zone contaminate è molto grave, e quanto questa catastrofe, l’incidente civile più grande nella storia dell’umanità, sia molto invasivo nella vita delle persone e nelle aree colpite dal fallout radioattivo. Raccontare serve per far capire quanto abbiamo sbagliato nell’operare nella scelta dell’energia nucleare”.

Quali sono stati gli effetti allora e quali sono quelli duraturi?

“L’esplosione del quarto reattore 4 della centrale ha emesso una quantità di radiazioni mille volte maggiori delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, il 70% dei detriti radioattivi che ricadono sul terreno, il cosiddetto fall-out, è finito in Bielorussia, il resto su Russia e Ucraina. Secondo i dati delle Nazioni unite, le vittime nel tempo sono state 4mila. Il disastro ha causato il ‘lancio’ di molti isotopi radioattivi responsabili di numerosi tumori, come lo iodio 131, lo stronzio 90 e il cesio 137. Le polveri che si sono diffuse nell’ambiente in seguito all’incidente hanno causato gravi difficoltà sia alla flora che alla fauna locale, mentre nelle persone si è registrato un aumento esponenziale di patologie tiroidee, tumori e l’abbassamento delle difese immunitarie dovute all’assunzione di cibo e acqua contaminati. Ancora oggi il rischio sanitario è altissimo perché il suolo e l’acqua sono radioattivi, come gli alimenti di cui si nutrono gli animali allevati allo stato brado, per esempio i frutti di bosco, e gli esseri umani. Ancora oggi cinque milioni di persone vivono in zone contaminate”.

Nel tempo, Legambiente ha fatto molto per aiutare le popolazioni colpite dal disastro nucleare, sia operando nell’accoglienza nel nostro Paese che andando sul posto, nell’Europa dell’est. Una delle vostre iniziative è il Progetto Rugiada. Ci può illustrare la sua mission e fornire qualche numero?

“Fin dall’inizio la nostra associazione ha cercato di dare concretamente una mano alle vittime dell’incidente. Negli anni successivi abbiamo ospitato in Italia oltre 25mila bambini, che sono stati accolti da molte famiglie italiane in tante aree della Penisola, offrendogli un soggiorno terapeutico e visite mediche. E’ stata una bella ‘gara’ di solidarietà. Più recentemente, col Progetto Rugiada in Bielorussia aiutiamo i bambini che vengono dalle zone contaminate. I più piccoli sono le maggiori vittime del disastro perché assorbono più radionuclidi rispetto agli adulti e necessitano quindi di essere maggiormente seguiti. Nel nostro Centro Speranza gli diamo da mangiare cibi non contaminati, che gli consente di perdere fino al 60% del cesio che hanno assorbito, e li sottoponiamo a controlli medici per prevenire l’insorgere o l’aggravarsi di patologie collegate alla radioattività. Il nostro è un concreto gesto di solidarietà verso chi è più sfortunato”.

Cosa si legge negli occhi dei bambini coinvolti nell’incidente di Chernobyl, ieri e oggi?

“Nei loro occhi e in quelli dei loro genitori abbiamo visto la difficoltà e la disperazione di chi si è dovuto spostare a causa del disastro, come quelle di chi invece è rimasto lì nonostante la situazione rischiosa perché non aveva possibilità di andarsene. Ma abbiamo visto anche la gioia di essere aiutati, di poter venire in Italia dove trascorrere un mese l’anno vivendo una vita più spensierata e più leggera con qualcuno che ti sta vicino e si prende cura di te. Secondo quanto riportano recenti studi sugli effetti della cosiddetta ‘sindrome Chernobyl’, una patologia di natura psicologica, chi si rende conto di vivere in una zona contaminata pensa di non avere un futuro e inizia a soffrire di problemi di salute mentale. Aver dato speranza a quei bambini è servito per farli vivere, come generazione, in una logica meno pessimista in cui non si doveva negare la catastrofe ma comunque provare a reagire al disastro, avere un ruolo attivo e un pensiero chiaro in testa: non ha senso ‘giocare’ col nucleare perché può anche causare vittime innocenti. L’Italia è stata solidale con loro e questo ci ha fatto onore come Paese, a maggior ragione se alla solidarietà si accompagnano la memoria e la consapevolezza di cosa comportino incidenti come questo”.

Nel contesto attuale della guerra in Ucraina, quali problemi e rischi ci sono?

“Con la guerra in corso le centrali nucleari ucraine possono diventare degli obiettivi sensibili, determinando così il rischio di un nuovo incidente radioattivo. Inoltre in Bielorussia c’è una forte crisi  economica, che peggiora nella situazione attuale, e tutto questo si somma e determina un aggravamento della condizione di chi vive nelle aree fortemente contaminate”.