Agostino Di Bartolomei, capitano per sempre

A ventisei anni dal suo tragico suicido, il ricordo di "Ago" resta perenne nella memoria dei tifosi romanisti

“Ricordati di me, mio capitano”. Quando Antonello Venditti lo scrisse, nell’ormai lontano 2007, erano trascorsi già 13 anni dalla morte di Agostino Di Bartolomei, storico capitano del secondo scudetto romanista. Tanti anni, durante i quali il rimorso ha attanagliato le coscienze di tutto l’ambiente calcistico, in cui Ago non riuscì più a esprimere se stesso come faceva in campo. Dimenticato da quel mondo a cui aveva dato tanto, ricevendo troppo poco rispetto a quanto avrebbe meritato. Tradimento e perdono lo chiamò il cantautore romano, non solo la canzone ma per quell’insanabile ferita che ancora oggi, ben 26 anni dopo il tragico suicidio, non si è rimarginata nemmeno un po’. Con le parole di Venditti a risuonare come un drammatico rimpianto: “Se ci fosse più amore per il campione oggi saresti qui”.

L’anima dello scudetto

C’era chi lo amava Ago. La sua famiglia ma anche i suoi tifosi, che lo ricordano ogni anno ma, in qualche modo, anche ogni domenica. Il suo carisma in campo fu il perno della Roma campione d’Italia, quanto e più dei gol di Pruzzo e della classe di Falcao. I tifosi lo sapevano e lo amavano per questo. La classe del 10, la grinta dell’8 e la capacità di reinventarsi anche libero, sul finire dell’esperienza romanista. Come altri fuoriclasse hanno fatto prima e dopo di lui. Una capacità eclettica propria dei grandissimi ma una leadership silenziosa che davvero in pochi hanno. Quella ce l’hai ma di certo non te la inventi. E chissà che la sua classe non avrebbe fatto comodo anche alla Roma di Eriksson, quella che non lo ritenne adatto a quel gioco veloce e innovativo ma che finì per perdere lo scudetto in casa con il Lecce.

Agostino Di Bartolomei

Un atto di amore

“Ti hanno tolto la Roma ma non la tua curva”, scrissero i tifosi giallorossi durante la sua ultima partita. Che, per inciso, fu la Coppa Italia vinta con il Verona. Un ultimo regalo del capitano e una dedica d’amore del tifo che significava solo una cosa: l’amore reciproco sarebbe durato per sempre. Ben oltre i trofei vinti, le delusioni, come la finalissima di Coppa Campioni, o l’addio non voluto. Lo dimostra, da 26 anni, ciò che accade ogni 30 di maggio, quando il ricordo diventa un ennesimo atto di incondizionato affetto tifo-capitano.