Miura, highlander del calcio: in campo a 52 anni

Cinquantadue anni come se fossero 25. A esagerare una trentina. Kazuyoshi “Kazu” Miura, ex attaccante del Genoa, continua a stupire tutti per la sua incredibile tenuta atletica che gli consente, superata abbondantemente la mezza età, di giocare ancora a livello professionistico con sorprendente disinvoltura e segnando ancora qualche gol. Lo fa in Giappone, nello Yokohama Fc, con il suo intramontabile numero 11 sulla schiena. Inevitabile che, vista l'età, Kazu continui a infrangere record su record, compreso quello di marcatore più anziano della storia del calcio, stabilito il 12 marzo 2017 a 50 anni e 14 giorni. Nella sua lunga intervista concessa due giorni fa a “L'Equipe”, Miura è stato chiaro: “Quando morirò, vorrei che si dicesse che è morto il calciatore Kazu Miura, non 'l'ex giocatore”.

L'avventura al Genoa

Per il calcio giapponese è una vera e propria leggenda. Per gli italiani un ricordo anche affettuoso, specialmente per i genoani, che lo ebbero tra le proprie fila nientemeno che nella stagione 1994-95, sportivamente parlando una vita fa, anno in cui diventò il primo calciatore nipponico a giocare nella nostra Serie A. All'epoca il suo trasferimento, in quel momento per l'appunto un unicum in un campionato dove ogni squadra aveva tendenzialmente al massimo un paio di stranieri, suscitò grande interesse visto anche il coinvolgimento di alcuni sponsor che, a ogni sua partita, versavano una somma per l'acquisto dei diritti della partita da trasmettere poi in patria. Nonostante il grande marketing, tuttavia, l'avventura italiana di Miura durò appena una stagione e non andò esattamente alla grande. A lui va però il merito del costante lavoro, dell'impegno sul campo e, nondimeno, di uno storico gol nel derby con la Sampdoria (perso poi per 3-2) che lo consegnò alla memoria dei tifosi del Genoa per ben altri motivi rispetto alla fastosità del suo tesseramento.

Sempre in campo

Ora, a 52 anni e con il fisico che ancora risponde bene, Kazu non ha alcuna intenzione di fermarsi: “E' il corpo che decide. Se sarò stanco al punto da non potermi allenare, sarà il momento. Ma oggi non riesco a immaginare di dire addio a 50 mila persone dentro uno stadio”. Una carriera dirigenziale non lo interessa minimamente: “Il mio unico desiderio è essere un calciatore. Fino alla morte se possibile”.