Perché il Governo ha posto il voto di fiducia sul decreto Pa

Montecitorio Decreto Pa
Foto Ufficio Stampa Presidenza Consiglio Ministri/Image nella foto: Camera dei Deputati

Dunque il copione è stato rispettato. Alla Camera arriva il tanto contestato decreto sulla pubblica amministrazione. Ad infiammare lo scontro politico sono gli emendamenti che limitano i controlli della Corte dei conti sulle spese del Pnrr, e il governo ha deciso di porre la fiducia sul provvedimento. Formalmente l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni punta a chiedere la partita in tempi rapidi, portando a casa il testo modificato durante l’esame delle commissioni Affari costituzionali e Lavoro.

Fra le novità significative la proroga del cosiddetto “scudo erariale” di un anno al 30 giugno 2024 e l’esclusione del controllo concomitante della Corte dei Conti su Pnrr e Pnc. Ed è proprio su questi punti che, a Montecitorio, Pd e M5S, si preparano a dare battaglia. Le forze di maggioranza, dal canto loro, non sembrano intenzionate a prolungare un dibattito che si protrae da tempo e che l’esecutivo intende archiviare al più presto. L’iter dovrebbe concludersi entro mercoledì e – dal momento che il decreto scade il 21 giugno – anche il percorso in Senato sarà blindato. “La fiducia sul decreto Pa sicuramente sarà accordata perché è un provvedimento che serve all’Italia. Per quanto riguarda la norma sulla Corte dei Conti, se vogliamo che il Pnrr possa andare a segno e cioè concludere i lavori entro il giugno del 2026, non occorrono controlli intermedi, ma finali”, sottolinea Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio. Da qui il ricorso al voto di fiducia. Ma si tratta di un atto di debolezza dell’esecutivo, oppure siamo di fronte alla normale prassi istituzionale, alla quale gli inquilini di Palazzo Chigi (tutti, nessuno escluso) fanno ricorso nei momenti di maggior tensione e fibrillazione? Partiamo da alcuni numeri.

Da quando è in carica il governo guidato da Giorgia Meloni (si è insediato il 22 ottobre dell’anno scorso), ha posto la questione di fiducia su 15 provvedimenti: in media una ogni due settimane. La maggior parte di queste fiducie, 12, è stata posta alla Camera, mentre le restanti tre sono state poste al Senato. Con la questione di fiducia il governo velocizza i tempi dell’esame di un progetto di legge da parte del Parlamento, perché cade la possibilità per le aule di votare modifiche al testo. In questo modo, però, il governo rischia di perdere la fiducia di una delle due Aule, nel caso in cui non avesse la maggioranza dei voti. L’eccessivo ricorso dei governi alle questioni di fiducia è un fenomeno che da tempo caratterizza la politica italiana e in passato lo strumento parlamentare è stato criticato più volte anche dalla stessa Meloni e da Fratelli d’Italia, quando erano all’opposizione. Modesto dettaglio a beneficio della chiarezza. Alla Camera il governo può contare sul sostegno di almeno 238 deputati su 400, mentre al Senato su quello di 116 su 206, considerando i senatori a vita. I numeri, quindi, sono dalla parte del governo. Ma spesso non lo sono i tempi, così come non combaciano i tempi delle affermazioni. Stare al governo impone una perfetta aderenza alla realpolitik e alle necessità congiunturali, fare opposizione permette di giocare in campo aperto. E’ il gioco della politica, niente più. Quanto al ricorso al percorso abbreviato, in alcuni casi il governo ha posto la fiducia alla Camera perché i disegni di legge di conversione sono arrivati all’esame dell’assemblea pochi giorni prima della loro scadenza. Per esempio il decreto contro i rave party, il primo approvato dal governo Meloni e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 31 ottobre 2022, ha ottenuto il via libera del Senato il 13 dicembre e l’aula della Camera ne ha iniziato l’esame il 27 dicembre: tre giorni prima della scadenza del testo fissata per il 30 dicembre. Quindi non c’era altra strada. L’esempio fatto, forse meglio di altri ragionamenti, spiega le ragioni che spesso stanno dietro al ricorso al voto di fiducia.

Certo, sul piano squisitamente politico, i temi sul tavolo sono bel altri, legati ai contenuti del provvedimento, in particolare quelli legati al ruolo della Corte dei Conti e all’attività della magistratura contabile. Tant’è che le opposizioni, sul punto, si si dividono: se Azione e Iv non vedono “colpi di mano” nella cancellazione del controllo concomitante dei magistrati contabili sul Pnrr, il Pd e Avs annunciano “battaglia, sulla Corte dei Conti”. “Il Governo sta facendo una forzatura”, assicurano i dem . “E’ inconcepibile che anche in questa occasione il governo possa sottrarsi a una discussione democratica, noi vogliamo esporre le nostre ferme ragioni contro un decreto che imbavaglia la Corte dei conti ma il governo ha posto la questione di fiducia chiudendo qualsiasi spazio di confronto”, spiega Filiberto Zaratti capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra in commissione Affari costituzionali della Camera. Anche il M5S si prepara al braccio di ferro: “Daremo battaglia in Aula. E’ qualcosa di grave”.

Ieri c’è stata anche un’assemblea straordinaria dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti. All’Ordine del giorno la discussione sulle iniziative conseguenti agli emendamenti sulle limitazioni delle funzioni della Corte dei conti. Ma davvero siamo di fronte ad un colpo di mano, oppure c’è solo la necessità di riordinare i meccanismi di controllo, ristabilendo l’ordine dei fattori? La sensazione è che dietro una certa difesa manichea della magistratura contabile da parte dell’opposizione vi sia una scarsità di idee, dettata dalla necessità di mettere un po’ di bastoni fra le ruote alla macchina del Pnrr, che avrà pure dato colpi a vuoto, con tanto di sbuffi e brusche sterzate, ma che va portata a casa. Comunque la si pensi. “Se succede qualcosa sul Pnrr c’è sicuramente un colpo d’immagine, però, secondo me, questo non sarà perché anche la Commissione europea ha interesse che l’Italia si muova bene e investa bene le risorse”, afferma il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, intervenendo a “Italian capital market day Bloomberg”, sottolineando come il Paese debba “uscire da un dibattito politico e, soprattutto dobbiamo ricordare che parliamo di un grande scontro tra burocrazie”. Ed proprio dalle burocrazie che dobbiamo liberarci…