Viola Graziosi:
“Gli audiolibri,
un allenamento all'ascolto”

Non è solo l'immaigne a fare un buon attore anche se, forse, esiste una tendenza, oggi come oggi, a considerare lo spazio visivo come l'essenzialità del contesto comunicativo. Ma se è vero che “l'essenziale è invisibile agli occhi”, a maggior ragione è legittimo affidarsi anche ad altre sensibilità, cogliendo sfumature di noi stessi attraverso una riflessione intima ma condivisi. L'esperienza degli audiolibri si inserisce proprio in questo aspetto: allenare noi stessi all'ascolto, coltivando la profonda inimità della lettura attraverso una relazione del tutto particolare con chi legge, trasferendo l'onda di sentimenti ed emozioni proprie di un libro letto in impensabili contesti quotidiani. Un freno allo scambio rapido ma quasi sempre effimero dell'epoca tech, con le possibilità della tecnologia al servizio di un'esperienza di rinnovata sensibilità. Viola Graziosi, attrice (attiva particolarmente in teatro e ora in scena con Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood) e voce narrante di ben trentacinque audiolibri (l'ultimo All'ombra di Julius, di Elizabeth Jane Howard, Emons), ne descrive appieno l'importanza: “Perché è bello potersi allenare all’ascolto, pur senza perdere il senso della relazione”.

 

Viola Graziosi, quella degli audiolibri è davvero un'esperienza particolare che modifica il classico approccio alla lettura, persino nell'epoca del digitale e degli e-book. Quali emozioni restituisce un libro ascoltato?
“La lettura attraverso audiolibri è effettivamente ancora nuova per l’Italia e che coinvolge noi attori in modo molto specifico. Io ho avuto l’occasione e la fortuna di poter in questi anni prendermi cura e interrogarmi su cosa questo volesse dire, perché caratteristica propria del mestiere dell’attore è ricercare costantemente forme di comunicazione. Da un punto di vista del lettore, invece, l’audiolibro magari toglie qualcosa ma restituisce anche qualcosa. Un tempo erano solo per i non vedenti, oggi secondo me non è solo una possibilità per una società dove il tempo è sempre meno, permettendoci di conoscere e leggere libri facendo altro (nel traffico, viaggiando, cucinando…), ma ha anche un valore aggiunto perché ci ripropone di abituarci ad ascoltare, a metterci in ascolto. E questa è una possibilità essenziale che crea l’audiolibro perché oggi non è facile ascoltare: siamo in una società molto forte a livello di immagine e in cui tutto va in velocità. L’ascolto richiede il silenzio, fermarsi. Nel farlo è quasi una meditazione per me e quello di cui sono grata è che bisogna conquistare l’attenzione di chi ascolta, non entrare nella monotonia, avere grande cura di lasciare anche all’ascoltatore-lettore il suo tempo di lettura e il suo spazio di immaginazione passando però attraverso la voce. E questo crea una relazione molto intima”.

Parlando di lettura viene in mente lo spazio di immaginazione portato dalle parole, spesso concepito in momenti di particolare intimità con noi stessi. Con la voce invece subentrano relazioni, il messaggio da cogliere è veicolato attraverso la sensibilità di chi racconta…
“Chiaramente sì, perché si passa attraverso la voce che, di per sé, è qualcosa di molto intimo. Mi viene in mente la voce dei nostri genitori quando da piccoli ci cullavano o ci raccontavano una storia. È una forma di fiducia e abbandono all’altro che è bello poter riscoprire in un’epoca come la nostra: la relazione con l’altro e non soltanto fra sé e sé. Questo importante oggi, in cui i rapporti possono essere difficili o in cui subentrano relazioni non autentiche come quelle veicolate attraverso i social. Penso poi a una forma d’arte come il teatro, che permette un’esperienza corpo a corpo, mentre l’audiolibro un’esperienza più intima voce a orecchio e, quindi, a cuore. Ho poi la convinzione che mentre i nostri occhi vengono più facilmente illusi da qualcosa che vede o crede di vedere, credo che l’orecchio sia più sensibile, meno spostato dalla purezza. Anche perché per ascoltare un audiolibro non puoi avere altri pensieri per la testa, altrimenti diventerebbe come la radio. L’audiolibro richiede un ascolto lungo, anche se non continuativo, ed è un allenamento all’ascolto in cui si apre un mondo. Il sentirsi ascoltato è uno scambio profondo e quello che si può vivere durante un romanzo è qualcosa di molto speciale”.

Un aspetto essenziale. A volte, soprattutto in tempi come quelli di oggi, quasi dimentichiamo il valore di una relazione fatta di ascolto, cedendo il passo a forme di comunicazione sempre più veloci…
“Per questo è bello potersi allenare all’ascolto senza perdere il senso della relazione. Si tratta comunque di un ascolto attivo e creativo. E quindi di un incontro. Quando leggo penso sempre di leggere non per me e nemmeno per una folla. Si legge per ogni singola persona e la voce entra in qualcosa veramente sottile che, a volte, ti accompagna in momenti particolari, come prima di andare a dormire. La voce è uno strumento davvero incredibile, ed è stata una scoperta capire di poter lavorare anche solo attraverso di essa. E il mio corpo è comunque attivo mentre leggo: tanto nel cinema la macchina da presa ingrandisce l’immagine, quanto il microfono ingrandisce la voce quando si legge un audiolibro. E le sfumature della parola sono tantissime”.

L'informazione, ad esempio sul web, viene veicolata in modo quasi continuo, così come lo scambio di pensieri. In questo senso, il valore dell'audiolibro è possibile leggerlo nella sua capacità di inserirsi anche in contesti di quotidianità impensabili. Questo gli fa assumere anche un valore sociale?
“Certo. Ad esempio, a me è successo di ascoltare un audiolibro per la strada e di essere anche più concentrata, perché è un’esperienza diversa dall’enumerazione di informazioni o dallo scorrimento veloce di una notizia. Anche contesti quotidiani, come l’attesa nel traffico, si possono vivere in modo non convenzionale. Non è più una perdita di tempo ma ogni momento può essere prezioso. In questo senso la tecnologia diventa utile. Diventa un’esperienza insieme: per me un audiolibro significa come metterlo in volume, è una grande responsabilità, non è un monologo. È uno strano compromesso che si cerca di trovare, con la voce che si fa canale cercando di aderire il più possibile all’autore. Chiaramente tutto passa dalla mia sensibilità, perché ‘gli attori sono atleti del cuore’. Penso sia anche un modo per aprire strade nuove ai lettori che possono ampliare il loro spazio di immaginazione. Ho avuto la fortuna di incontrare la casa editrice Emons, la più importante nel nostro Paese per quanto riguarda gli audiolibri, nel momento in cui questi hanno iniziato ad avere la loro espansione in Italia, anche grazie ad alcune piattaforme web come Audible e Storytell. In questi tre anni e mezzo ho registrato 35 libri, un numero comunque importante in Italia dove ancora gli audiolibri non sono così conosciuti come nel resto Europa”.

Eppure sembra un buon compromesso per inserire la lettura in modo sempre più capillare nella quotidianità…
“Leggendone tanti ho avuto modo anche di pormi molte domande e cercare di capire meglio proprio per la gioia che mi ha sempre dato leggere. Ed è stato importante anche il riscontro degli editori e dei lettori, coloro a cui il libro è destinato. Nella fase di preparazione alla lettura, mi sono resa conto che il modo migliore per dar voce a un libro è quello di leggerlo in modo quasi trasversale, senza entrare nell’esperienza vera e propria della lettura, incamerando però i dati necessari per essere pronta a farlo al momento della registrazione. Dopodiché, subentra lo spazio per una diversa presenza nella lettura attraverso la mia sensibilità, cercando di stupirmi anch’io, quasi come se, in quel momento, scrivessi il libro assieme all’autore”.

Siamo abituati a concepire un libro come un'esperienza da condurre in solitaria, è forse poca l'abitudine a leggere ad alta voce. In questo senso ci sono libri più complessi di altri?
“Sì, ci sono libri e densità diverse. Ogni libro ha una voce narrante, o più di una, tanti personaggi diversi. Io devo pensare che chi ascolta non ha il libro sotto gli occhi, quindi va adottato un ritmo lento ma non troppo, per poi modularlo a seconda dello scorrere della narrazione, come nella musica. È un equilibrio molto delicato: ci sono lievi sfumature, senza calcare le voci. D’altra parte non si può nemmeno leggere in modo neutro: bisogna giocare tra il silenzio, le parole. È come dar loro un volume senza entrare in troppi virtuosismi vocali che a volte distraggono dal contenuto”.

Succede, nello spazio della lettura, di lasciar posto all'emozione?
“Mi è successo di emozionarmi. Ad esempio in Paula, di Isabelle Allende, un romanzo estremamente toccante e che mi ha posto dei quesiti reali nel come leggerlo. In questo romanzo, in cui la scrittrice racconta l’accompagnamento di sua figlia verso la morte, non era la mia emozione personale, pur se presente, a dover trapelare attraverso la lettura, il cui obiettivo era di restituire al lettore-ascoltatore il profondo dolore vissuto da una madre sottoposta alla più difficile delle prove. Devi ascoltare la parte di te che prova qualcosa in quel momento ma bisogna anche mettersi dalla parte di chi ascolta. In quel caso era la voce di una madre, non solo di una scrittrice. Ci sono tante piccole cose da tenere presente per poter regalare un’esperienza completa. Poi ci sono libri più leggeri, ironici… Qualcosa si mette in atto anche malgrado noi”.

La tua ultima esperienza è All'ombra di Julius (Emons), un testo che appare estremamente complesso…
“È un libro di Elizabeth Jane Howard, conosciuta per le Cazalet Chronicles, che a me ha fatto pensare a una sorta di Piccole donne moderno. Sono tre protagoniste femminili, due figlie e una madre alla ricerca della felicità come tutti. Julius è il capostipite della famiglia, scomparso un po’ di anni prima. La Howard ha una scrittura molto attenta e amorevole ma non per questo sdolcinata o accondiscendente. Ci sono dei passaggi spietati che raccontano il rapporto fra uomo e donna, la difficoltà di comunicazione, passaggi difficili da accettare sia per l’uno che per l’altro. Sono personaggi molto veri, non sono eroi né eroine, guardati con uno sguardo sincero. Non è la scrittrice a salvarli, si danno delle opportunità da soli: sono patetici come un po’ tutti noi, fra momenti eroici e disperati. Ce li mostra a 360 gradi, sotto un occhio amorevole ma che non fa sconti e ci aiuta a conoscere qualcosa di noi. Un romanzo deve metterci di fronte a delle situazioni da cui ciascuno possa trarne un’esperienza di vita. È una scrittura molto fluida e per me è stato molto bello leggerlo, ed è strano notare quanti aspetti emergano nel leggere un libro, anche capendo molto dell’autore e della sua scrittura”.