Ricuciamo il velo squarciato dalla guerra

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

A Pasqua la fede che passa all’azione diventa amore. E l’amore che si trasforma in azione diventa servizio”, testimonia Madre Teresa di Calcutta. Non c’è notte così buia da impedire al sole di sorgere. Abbiamo quotidianamente davanti agli occhi le immagini sconvolgenti delle guerre e degli attacchi terroristici che bagnano di sangue innocente tanti luoghi martoriati del pianeta. Dall’Europa orientale alla Terra Santa, dai conflitti dimenticati in Africa e Asia alle carneficine dei narcos in America Latina. Atrocità che tutte insieme dilaniano l’umanità della civiltà contemporanea.

Duemila anni fa, all’ultimo respiro esalato da Cristo sulla croce, si squarciò il velo del tempio. Sembrava la fine e invece era l’inizio. Non era l’omega, bensì l’alfa. A raccontarlo è il Vangelo di Matteo: “Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono”. Ma oggi come allora la morte non ha l’ultima parola. “La Risurrezione realizza pienamente la profezia del Salmo – insegna papa Francesco -. La misericordia di Dio è eterna, il suo amore è per sempre, non muore mai. Di fronte alle nostre voragini spirituali e morali, di fronte ai vuoti che si aprono nei cuori e che provocano odio e morte, solo un’infinita misericordia può darci salvezza”.

La Pasqua è proprio la celebrazione della rinascita per gli sfruttati e gli oppressi, per quanti hanno perso ogni speranza e gusto di vivere, per gli anziani sopraffatti che nella solitudine sentono venire meno le forze, per i giovani a cui sembra mancare il futuro. Ai leader del pianeta spetta la responsabilità di fermare la “terza guerra mondiale a pezzi”. A ciascuno di noi, invece, tocca il compito di ripartire con più coraggio e speranza per costruire strade di riconciliazione con i fratelli. “Solo Dio può riempire col suo amore i vuoti e gli abissi, permettendoci di non sprofondare e di camminare insieme verso la libertà”, afferma il Santo Padre, sollecitando in tutti e in ciascuno uno guardo di tenerezza e di compassione verso gli affamati e gli assetati, i forestieri e i carcerati, gli emarginati e gli scartati, le vittime del sopruso e della violenza.

Il mondo, infatti, è pieno di persone che soffrono nel corpo e nello spirito. Efferati delitti si consumano persino tra le mura domestiche e conflitti armati su larga scala sottomettono intere popolazioni a indicibili prove. Eppure la pietra ribaltata nel sepolcro può sconfiggere la durezza dei cuori. E’ la fede granitica che troviamo in quei “detti” dei padri del deserto che sono stati trascritti tra il IV e il V secolo d.C. dai loro discepoli. A Pasqua gli antichi eremiti ripetevano: “Alleluia! Gesù è veramente risorto e anche noi con lui”. Oggi più che mai il messaggio pasquale è necessariamente intessuto di dialogo ecumenico e interreligioso. E’ il Risorto a spingerci a mettere i “lontani” e i bisognosi al centro. La misericordia è l’attuazione del progetto di Dio per l’umanità.

La misericordia non è altro che l’amore, è Gesù nel cui volto riconosciamo il Padre. Così come Benedetto XVI ha dedicato il suo pontificato a mostrare che Gesù è Dio, Francesco prosegue facendoci scoprire che Dio è misericordia. Ogni cristiano rigenerato dalla contemplazione e adorazione del Crocifisso aiuta la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali. Lo spirito pasquale si alimenta di preghiera, Eucaristia, condivisione, sacramenti, specialmente la confessione da cui trarre le forze per la missione. L’esempio lo offre il Magistero contemplativo che prega e fa pregare. Francesco lo ha fatto appena eletto al Soglio invitando a pregare l’intera piazza e lo fa sempre, ogni volta che incontra qualcuno: prega con lui. Soprattutto quando abbiamo a che fare con l’emarginazione e la sofferenza, ciò che abbiamo anzitutto da offrire è la fede.

È quanto leggiamo nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “La peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale”. Il Servo di Dio Don Oreste Benzi esortava così gli uomini e le donne di buona volontà: “Cristo è risorto, la sua risurrezione continua a crescere nel mondo!”. E traeva ispirazione dal racconto evangelico. Pietro e l’altro discepolo corsero al sepolcro e constatarono che le cose erano come aveva detto Maria Maddalena. Videro e credettero. “Erano stati insieme con Gesù per tre anni, ma non avevano capito abbastanza; in quell’istante, la luce li folgorò e credettero, si diedero a Gesù. Credere infatti è darsi a colui che ti ha illuminato. Forse che i tre anni sono stati inutili? Assolutamente no! – avverte don Benzi -. Il Signore ci conquista lentamente; il tempo sembra passare inutilmente e invece non è così ed arriva il momento in cui tutto diventa vitale, luminoso”. Quindi “non avvilirti se vedi che Gesù non ti ha ancora conquistato; tu non ti accorgi, ma lui ti sta conquistando. Non perdere la fiducia negli altri quando sembra che siano tanto lontani; non è vero: il Signore li sta conquistando. Forse hanno solo bisogno di vederti più innamorato di Gesù”, ci sprona l’infaticabile apostolo della carità.