Vittime della possessione diabolica o malati: il modo di agire di Gesù nei Vangeli

Testimonianza

Periodicamente nei libri, sui media come in eventi pubblici (dalle conferenze alle catechesi) commentatori agili della Scrittura o, piuttosto, “guru” della divulgazione teologica, con somma superficialità e piglio sbrigativo, liquidano le sofferenze al centro di celebri episodi evangelici come casi di epilessia o psicosi. Gesù pertanto, nel corso della sua missione, non avrebbe liberato malcapitate vittime dalla possessione diabolica ma – pur adeguandosi nei gesti come nelle parole alle credenze dell’epoca – avrebbe semplicemente sanato o tamponato delle patologie. Nulla quaestio sulla diagnosi a posteriori, debitrice all’antica sconfessione ippocratica di molti mali misteriosi che la scienza, nel suo millenario percorso, ha poi clinicamente spiegato. Anche il grande esorcista della Scala Santa, il passionista Padre Candido Amantini, dopo più di trent’anni di esperienza nel suo ministero, affermava come non si potesse escludere che fenomeni associati all’azione straordinaria del maligno nel futuro si sarebbero spiegati alla luce di nuove conoscenze. Ma il prudente giudizio di Amantini è ben altra cosa rispetto alle affrettate considerazioni di certi volti noti dello scenario pastoral-mediatico. Stupisce soprattutto che a mettere in discussione la Parola rivelata non siano ideologi laicisti, ma presbiteri e religiosi. Del resto sul versante più ampio della riflessione teologica non mancano ultimamente anche rivisitazioni degli stessi fondamenti naturali di Genesi, o meglio: ripensamenti “inclusivi”, come è stato affermato da intraprendenti teologhe in carriera.

Dunque anche di recente sì è liquidata la vicenda dello spirito muto che possedeva un giovane nel Vangelo di Marco come un ordinario caso di epilessia. Che i gesti e le parole espressamente rivolte da Cristo indichino ben altro, non sembra avere rilevanza per i disincantati (e improvvisati) esegeti. Eppure Gesù, che non era un medico ma il Messia, il Figlio del Dio vivente, si rivolse esplicitamente in termini imperativi allo spirito infernale che opprimeva il ragazzo. Gesù, annunciando il Regno di Dio, non liberava forse (e guariva interiormente) dai demòni, oltre che sanare dalle malattie, in un contesto sociale dove la medicina era certamente ai primordi, ma non estranea a discernimenti diagnostici? Cristo non venne a confutare le credenze sul diavolo ma a liberare l’umanità dalla morte in potere del diavolo, e questa missione resta centrale per comprendere il progetto e gli esiti del suo sacrificio salvifico. Nell’episodio dell’indemoniato di Gerasa è ad esempio rimarcata l’autorevolezza del divino Esorcista. Cioè l’esorcismo praticato esalta la stessa identità divina di Gesù. Eppure persiste da pulpiti mediatici più o meno elevati una certa diffidenza, a volte avvolta da una brezza di superiorità intellettuale. Si sa, del resto, che Satana è nemico della consapevolezza e alleato della vanità.

Cito perciò in proposito un maestro nell’esegesi che ebbi la fortuna di conoscere molti anni fa. Padre Xavier Léon-Dufour, proprio con riferimento al fanciullo posseduto dallo spirito muto (Mc 9,14-29), osserva come l’atteggiamento di Gesù era diverso quando guariva da quando esorcizzava. Nel caso della guarigione accoglieva le suppliche dei sofferenti. Nel caso delle possessioni diaboliche prendeva l’iniziativa: non perdeva tempo, anzi agiva persino precedendo la richiesta di aiuto. Sempre l’illustre studioso gesuita ricorda che negli esorcismi Gesù si rivolgeva al demonio come a un essere personale e non si indirizzava unicamente al posseduto. E anche negli effetti prodotti su di un essere umano che aveva perso il controllo di sé compiendo azioni sorprendenti e spaventose, la lotta fra Gesù e il nemico assumeva contorni cosmici. Non è forse la stessa cornice delle tentazioni nel deserto? O anche in quel caso ci troviamo per qualcuno di fronte a espedienti narrativi? A metafore? No, perché il Vangelo presenta una concretezza narrativa all’interno della quale si scontrano e si esprimono due volontà personali, radicalmente contrapposte in ogni episodio fino alla Passione.

È così difficile o sconveniente prestare fiducia alla Parola di Dio? O è più intelligente azzardare una diagnosi dopo duemila anni, senza disporre fisicamente del paziente? Nell’episodio descritto da Marco e riportato anche da Matteo e Luca i discepoli ammisero di non essere stati in grado di liberare il ragazzo, chiedendo al Maestro una spiegazione. La risposta di Gesù fu lapidaria e rimane insuperata: “Per la vostra poca fede” (Mt 17,20).