Utero in affitto reato universale: un percorso ancora lungo e insidioso

Neonati nascosti nei nidi bunker di Kiev, nati da madri surrogate ucraine e abbandonati dai ricchi committenti occidentali che, a causa della guerra, non possono o non vogliono andarli a prendere. Il dramma della barbara pratica dell’utero in affitto è riemerso in questi mesi di conflitto grazie a diverse indagini giornalistiche sulle cliniche ucraina che fungono da vere e proprie fabbriche di bambini, un mercato rivolto a facoltose coppie sia etero che omosessuali e che è stato sospeso a causa degli eventi bellici.

L’Ucraina è uno dei pochissimi Paesi al mondo dove la maternità surrogata è legale, in questo Paese si recano anche le coppie italiane che vogliono acquistare questo servizio che mercifica la maternità e la gravidanza e rende il nascituro uno oggetto al centro di una compravendita. La pratica è consentita e accessibile agli stranieri anche in Canada e negli Stati Uniti, non più in India e Thailandia dove negli ultimi anni è stato vietato l’uso “commerciale” della maternità surrogata.

In un mondo globalizzato l’utero in affitto va oltre le barriere legislative dei singoli Paesi. Di fatti in Italia la pratica è vietata dalla legge 40 che punisce chi “realizza, organizza o pubblicizza” ogni forma di maternità surrogata in cui la gestazione avviene per conto d’altri. Prevista la reclusione da tre mesi a due anni e una multa da 600mila a 1 milione di euro. Eppure questo divieto è aggirato recandosi in quei Paesi dove è consentito l’acquisto dei gameti e l’affitto della madre surrogata (gli ovuli utilizzati non sono mai della madre gestante, proprio per evitare eventuali rivendicazioni sulla maternità biologica del nascituro e per cercare di avere minori implicazioni sentimentali della gestante). Il tutto poi si risolve con il lassismo e in alcuni casi la connivenza di alcuni uffici anagrafici italiani che riconoscono immediatamente la genitorialità di coppie che arrivano dall’esterno con un bambino di cui dichiarano di essere i genitori.

Per dare maggiori strumenti di contrasto a questa pratica, in parlamento giacciono da tempo diverse proposte di legge (Meloni, Carfagna, Pillon) per perseguire l’utero in affitto come reato universale. La scorsa settimana la commissione giustizia della Camera dei deputati ha adottato il Testo Meloni (che prende il nome dalla leader di Fdi) che in pratica applica le pene previste dalla legge 40 per l’utero in affitto anche se il fatto è commesso all’estero da un cittadino italiano, modificando così l’articolo 12 della legge 40. Al momento il testo è stato solo adottato dalla Commissione, grazie al voto compatto delle forze di centro-destra, ma il percorso parlamentare che porta ad una definitiva approvazione è ancora molto lungo e insidioso, infatti molti deputati e i senatori non hanno mai nascosto il loro sostegno alla completa liberalizzazione di questa pratica.

Ad ogni modo si tratta di un passo importante nella direzione della tutela dei bambini e delle donne disperate di ogni angolo del mondo, che vengono sfruttate da un mercato che intende trasformare i desideri dei ricchi in diritti. Da oggi nessuno politico potrà avanzare più alibi o giustificazione ma dovrà metterci la faccia sostenendo o affossando con il suo voto questa proposta di legge. Ovviamente l’auspicio della realtà pro-life italiane è quello che tutte le forze politiche possano convergere su un testo condiviso. Ricordiamo che la pratica non è osteggiata solo dalle realtà pro life e pro family ma anche dalla maggior parte delle organizzazioni femministe che vedono nella mercificazione della maternità la più subdola e moderna forma di schiavismo della donna.

Non va dimenticato poi che persino la Corte Costituzionale si è espressa più volte su questo tema evidenziando “l’elevato grado di disvalore” della pratica che “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Nella commentare la decisione della Commissione Giustizia, il leader del Family Day, Massimo Gandolfini, da neurochirurgo ha evidenziato che la scienza prova che l’esperienza di vivere nove mesi nell’utero di nostra madre non è un fatto indifferente per la formazione di un essere umano, ma un processo che ha molteplici implicazioni emotive, psicologhe, biologiche e fisiologiche, pertanto è criminale ridurre il miracolo della maternità e della gravidanza alla stregua di un servizio messo sul mercato.