Zanchini (Crazy for Football): “Il diritto per tutti di fare sport ad alti livelli”

L’intervista di Interris.it all’allenatore della nazionale italiana di calcio a cinque di persone con problemi salute mentale Enrico Zanchini

Foto di Andrea Boccalini e Emanuele Artenio

In gol per affermare il diritto delle persone con problemi di salute mentale di praticare sport, anche ad alti livelli, per vincere la partita contro lo stigma che avvolge ancora questo tema. E in gioco – è il caso di dirlo – c’è anche molto altro: l’autonomia, il benessere, l’autostima. Oltre che la vittoria del trofeo. E’ questa l’essenza e la mission di “Crazy for Football”, la prima nazionale italiana di calcio a cinque per persone che soffrono di problemi di salute mentale, nata nel 2016 per partecipare al primo campionato mondiale di questa disciplina organizzato a Osaka, in Giappone. Competizione denominata Dream World Cup a partire dalla seconda edizione tenutasi a Roma nel 2018, quando il calcio d’inizio della manifestazione è stato dato in un giorno particolare per la salute mentale nel nostro Paese, il 13 maggio, quarantesimo anniversario della cosiddetta legge Basaglia (dal nome dello psichiatra veneto Franco Basaglia che ne fu ispiratore) che chiuse i manicomi, regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio e istituì i centri di igiene mentale. Un progetto ambizioso e inclusivo, “Crazy for Football”, nato dalla volontà e dall’impegno dello psichiatra Santo Rullo, che negli anni ha portato in bacheca trofei importanti ed è diventato un film ben due volte, la prima nel 2016 a opera dello sceneggiatore-scrittore Francesco Trento e del regista Volfango De Biasi (già autori nel 2004 del documentario “Matti per il calcio”), vincitore del David di Donatello nel 2017, e la seconda nel 2021, in un coproduzione Rai Fiction-Media Entertainment, andato in onda su Raiuno il primo novembre scorso. Al film tv hanno preso parte Sergio Castellitto, Max Tortora e Massimo Ghini.

L’intervista

Per conoscere meglio la storia e la specificità di “Crazy for Football”, Interris.it ha intervistato all’allenatore Enrico Zanchini.

Come e quando è stato dato il “calcio d’inizio” a questo progetto?

“Da oltre vent’anni i medici e gli operatori nell’ambito della salute mentale pensano che l’attività sportiva può essere di giovamento, al fianco della terapia, a persone con problemi di salute mentale. In questo periodo sono nate diverse squadre a partire proprio da realtà di cura della salute mentale e da enti per la promozione sportiva. Nel 2004 Rullo con De Biasi e Trento hanno documentato in ‘Matti per il calcio’ la storia della squadra di calcio a cinque Il Gabbiano, formata dal dottore con dei ragazzi con problemi di salute mentale. Un progetto che ha attirato l’attenzione della sociologa giapponese Nobuko Tanaka. In Giappone infatti ci sono ancora i manicomi, ma sono anche nate squadre legate ai club professionistici e alla federazione nazionale. La nazionale di calcio a cinque formata da pazienti psichiatrici arriva nel 2016, quando in Giappone si disputa la prima edizione del Mondiale. Rullo coinvolge nuovamente De Biasi per filmare quest’avventura – da cui nascerà il documentario ‘Crazy for Football” – e io vengo chiamato per allenare la squadra. I giocatori li abbiamo scelti lanciando un appello alla trasmissione 90° minuto: si sono proposti in sessanta, ne abbiamo selezionati dieci. A quel campionato mondiale siamo arrivati terzi, così abbiamo poi deciso di organizzare l’edizione successiva, due anni dopo, allargando la competizione a nove squadre. Il documentario ha vinto il premio David di Donatello e noi ci siamo aggiudicati un premio della Uefa, la federazione calcistica europea”.

Qual è il palmarès della squadra?

“Il secondo mondiale, il primo denominato Dream Word Cup, lo abbiamo vinto noi, diventando così un riferimento per tante altre realtà. All’orizzonte abbiamo due appuntamenti. Uno è la partita contro la nazionale del Senegal, che disputeremo a dicembre, perché la loro squadra non è riuscita a partecipare alla Dream World Cup 2018. L’altro, il prossimo mondiale: il Comitato internazionale sta cercando una sede e una data,  dopo che l’edizione che doveva svolgersi in Perù nel 2020 è saltata a causa della pandemia”.

Qual è il vostro rapporto con la Federazione italiana gioco calcio (Figc) e con il movimento italiano del calcio a cinque per persone con problemi di salute mentale?

“Con la Figc abbiamo avuto da subito un rapporto stretto. La Federazione ci ha dato il materiale per giocare, ci ha  incluso tra i progetti di responsabilità sociale e ha fondato la divisione calcio paralimpico-sperimentale. Quest’ultimo è un campionato dove ancora giocano ‘mischiati’ i soggetti con problemi di salute mentale con quelli con disabilità di tipo intellettivo-relazionali, comunque il movimento è molto grande, pieno di persone appassionate”.

Chi sono i vostri giocatori?

“La ‘rosa’ della squadra di 25 giocatori è composta da ragazzi con una patologia psichiatrica certificata provenienti prevalentemente dai centri di salute mentale. I problemi comprendono il bipolarismo, la depressione, la schizofrenia, il disturbo personalità. Oggi siamo una realtà conosciuta e vengono da noi giocatori anche molto forti, così noi offriamo a tutti allora una giornata sportiva – anche a chi non viene preso nella selezione. Il senso del progetto non è il pietismo, ma ribadire il diritto che hanno questo ragazzi di praticare sport ad alto livello”.

Quale ruolo svolge lo sport nella riabilitazione psichiatrica?

“Con lo sport i benefici sono vario tipo, come dimostrano anche le valenze scientifiche. Ce ne sono dal punto di vista sociale, perché spesso si tratta si soggetti isolati e impauriti che devono imparare a mettersi in gioco in uno sport di squadra. Li aiuta a far accrescere l’autostima contro lo stigma nei riguardi di chi soffre di un problema di salute mentale e li aiuta a diventare autonomi anche nello spostarsi e stare fuori di casa. Loro possono fare tutte le cose belle della vita, tra cui fare sport, e ne hanno diritto. La salute mentale riguarda oggi una persona su cinque, dopo la pandemia, ma pochi nel calcio professionistico hanno manifestato apertamente i loro problemi, i loro disturbi. I nostri giocatori, che noi vorremmo veder approdare al professionismo, lanciano un messaggio d’inclusione”.