Vietato il turbante se giochi a basket. La rivolta dei sikh contro la federazione

La norma Fiba, che dal giugno 2014 ha vietato l’uso di qualsiasi tipo di copricapo che possa rappresentare una “minaccia” per gli altri giocatori, colpisce molti giocatori di basket sikh provenienti dal Punjab, lo Stato che negli ultimi anni ha formato numerosi talenti del basket indiano. Tre campioni hanno accettato di tagliarsi i capelli per poter partecipare all’Asia Cup che si è tenuta lo scorso settembre: “Io sono l’unica fonte di reddito per la mia famiglia, ma è stato straziante. È stato come perdere una parte di me”.

Secondo l’art. 4.4.2 della Fiba, i giocatori di pallacanestro possono indossare copricapi non più larghi di cinque centimetri per tenere i capelli lontani dal viso e asciugare il sudore. Una norma che colpisce in modo diretto gli sportivi di religione sikh che hanno l’obbligo di coprire i capelli (mai tagliati) con un turbante, nel Punjab essi rappresentano la comunità di maggioranza (60%).

Il giocatore Amjyot Singh racconta ai giornalisti che è stato “straziante. Non capiscono che per me non è solo un copricapo. È parte del mio corpo. Per giustificare la norma, mi hanno detto che qualcuno potrebbe nascondere un’arma pericolosa dentro il turbante. Ma questo non ha alcun senso. Gli indiani hanno sempre giocato indossando il patka e non è mai accaduto nulla”. Il patka è la versione ridotta del turbante, usata in genere dai bambini e dagli sportivi, perché più comoda.

Il compagno di squadra Amritpal Singh ha detto “vengo da una famiglia povera di allevatori di Amritsar e sono l’unica fonte di reddito. Ho visto l’impotenza di mio padre quando gli ho detto che avrei dovuto tagliarmi i capelli. Era sconvolto, ma non ha avuto altra scelta che darmi il permesso”.

I sikh secondo la tradizione devono possedere i cinque segni fisici della fede: kesh, capelli lunghi, mai tagliati e raccolti in un patka o in un turbante; kara, un braccialetto di ferro o d’acciaio; kirpan, pugnale cerimoniale; kangha, il pettine; kacha (mutande o sottovesti di tipo allungato, simbolo dell’autocontrollo e della castità). Questi fanno parte dell’essenza stessa della loro fede. Per questo i giocatori di basket (o gli aspiranti tali) di tale religione vivono la regola imposta dalla Fipa come una scelta di vita.