Dott. Lalli (Ispra): “La prevenzione è l’unico mezzo per proteggere una costa da uno tsunami”

In occasione della Giornata mondiale di Sensibilizzazione sulla Pericolosità degli Tsunami, l'intervista di Interris.it al dottor Lalli di Ispra

Lalli - Tsunami
A sinistra Francesco Lalli Foto di Matt Paul Catalano su Unsplash

Tsunami è un termine di origine giapponese, che indica un’onda marina di tipo impulsivo, che può essere caratterizzata da grande ampiezza ed estensione. Questo tipo di onde si spostano molto velocemente e, in prossimità della costa crescono in altezza fino ad assumere, nei casi di grande intensità del fenomeno, l’aspetto e le dimensioni di un vero e proprio muro d’acqua. Un evento di questo genere distrugge qualsiasi cosa trovi sul suo itinerario, trascinando con sé cose e persone. 

Tsunami in Indonesia

È quello che è accaduto quasi diciannove anni fa, il 26 dicembre del 2004, nella regione di Banda Aceh in Indonesia: lo tsunami spazzò via villaggi interi, edifici e causò la morte di 230.000 persone, mentre oltre 22.000 non sono mai state ritrovate. Chi si è salvato, convive tuttora con il ricordo indelebile di quello che molti considerano il più grave disastro naturale dell’era moderna. 

L’intervista 

In occasione della Giornata Mondiale di Sensibilizzazione sulla Pericolosità degli Tsunami, Interris.it ha intervistato dottor Francesco Lalli, dirigente di ricerca, responsabile dell’area oceanografia operativa, idrodinamica costiera, monitoraggio e difesa delle cose di Ispra.

Cosa è uno tsunami? Cosa provoca questo immenso spostamento di acqua? 

“Si tratta di una serie di onde generate dal repentino movimento di grandi masse di materiali solidi immersi o precipitati nello specchio d’acqua, come nel caso della tragedia del Vajont. La pericolosità di questo tipo di onde, dette ‘onde impulsive’, deriva dall’ampiezza delle masse di acqua in movimento e dalla velocità di propagazione, che a sua volta dipende dalla profondità del fondale. Le cause di questi rapidi spostamenti di materiali solidi, in grado di generare tsunami, vanno ricercate nei terremoti, nelle frane o nelle eruzioni vulcaniche in prossimità del fondo del mare o delle coste e, molto raramente, nella caduta di meteoriti. La pericolosità di uno tsunami dipende dunque dall’importanza del fenomeno che lo ha causato”. 

C’è un modo per capire l’arrivo di uno tsunami? 

“Dopo l’evento catastrofico del 2004, i sistemi di allerta si sono evoluti e sono state attivate, a livello globale, delle strategie di difesa contro questi eventi. Questi sistemi si basano sul fatto che in molti Paesi esistono delle reti sismiche in grado di monitorare i movimenti della terra. Se questa rete segnala eventi di sismicità, immediatamente viene diramato un allarme, nella misura in cui i segnali sono tali da indicare la possibilità di generazione di onde di tsunami. Inoltre, esiste una rete di misurazione dei livelli marini, con le stazioni posizionate in zone strategiche, in grado di fornire delle informazioni molto precise e importanti”. 

Esiste un collegamento tra lo tsunami e il cambiamento climatico? 

“Tutto dipende dalla causa generatrice. Ad oggi parlando di terremoti, non si può assolutamente pensare ad alcun tipo di correlazione tra eventi sismici e cambiamenti climatici. Parlando di frane, si può affermare che l’aumento di frequenza degli eventi di pioggia intensa ha certamente delle conseguenze sulle frane. Infine, parlando di meteo-tsunami, ossia di sistemi di onde generate da anomalie della pressione atmosferica in movimento sulla superficie del mare, è opportuno osservare che negli ultimi anni stiamo assistendo a un aumento di frequenza e intensità degli eventi meteo-marini. In ogni caso, con i dati oggi a disposizione, non siamo in grado di affermare se esiste un vero e proprio legame tra questi fenomeni”. 

Come ci si può difendere da uno tsunami? 

“Uno tsunami distrugge tutto con una violenza inaudita, e da questa energia non ci si può difendere con una semplice opera di difesa costiera. Si tratta di onde molto lunghe, anche centinaia di chilometri, capaci di aggirare gli ostacoli, a prescindere dalla direzione di provenienza. Ecco che l’unico modo sarebbe quello di proteggere tutta la costa con dei muraglioni di altezza adeguata, ma si capisce bene che si tratta di un’opera impossibile”. 

In questo modo lei ci sta dicendo che dinanzi a questi eventi rimaniamo inermi? 

“No, ma voglio evidenziare che l’unico mezzo che ci rimane è la prevenzione, che ci permette di giocare in anticipo sull’arrivo di qualsiasi evento di maremoto. Inoltre, con opportune simulazioni modellistiche sono in corso di redazione mappe di possibili condizioni di inondazione lungo le nostre coste. E’ in fase di sperimentazione il sistema IT–Alert, basato sull’invio di messaggi con tecnologia cell broadcast, mediante il quale possiamo venire a conoscenza di eventi in atto con opportuno anticipo e permette dunque di scappare dalla zona esposta. Inoltre, in presenza di fabbricati particolarmente vulnerabili in zone costiere a rischio tsunami, come ad esempio le centrali nucleari, sarebbe opportuno realizzare delle opere di difesa completamente avvolgenti”.