Chi sale e chi scende: la sfida del totoministri

Ora “c'è un uomo al comando”. Questa volta, però, la maglia non è biancoceleste ma giallorossa, i colori del nuovo esecutivo che differenziano la casacca del premier incaricato, Giuseppe Conte, da quella che indossava Fausto Coppi mentre si trovava in testa al gruppo sulla Cuneo-Pinerolo, durante il Giro d'Italia del '49, quando le parole di Mario Ferretti lo immortalarono a imperitura memoria negli annali sportivi. A ben pensarci, forse non è un paragone esagerato: perché l'ex leader dell'esecutivo gialloverde, fresco d'incarico ricevuto dal Presidente della Repubblica, avrà il non semplice compito di sbrogliare gli ultimi nodi che ancora resistono nell'ambito delle trattative Pd-M5s, in un percorso politico che potrebbe essere paragonato a una faticosa pedalata. Di sicuro, le giornate che verranno coincideranno con la complessa partita della formazione del governo, per la quale non c'è ancora nulla di definito e aperta a tutte le variabili e le scommesse degne di un totoministri in piena regola.

La partita dei dicasteri

L'intricata sfida dello scacchiere dell'esecutivo ha tenuto banco negli ultimi giorni, quelli che hanno preceduto il conferimento dell'incarico a Conte (che ha accettato con riserva), coincisi con schiarite sempre maggiori sul fronte delle trattative tra Partito democratico e Movimento 5 stelle ma con qualche nube rimasta in sospeso proprio sulla partita dei ministri. Al premier il compito di diradarle definitivamente, muovendosi sul sottile filo dell'equilibrio per andare a formare uno schieramento dei dicasteri che non scontenti nessuna delle due forze che comporranno la maggioranza. Un valzer di nomi che, a ben vedere, è iniziato già da quando l'assenso sul nome di Conte da parte dem era iniziato a circolare, quando stampa e analisti hanno indicato i primi nomi e, soprattutto, gli eventuali punti di frizione sulle nomine ideali per i vari ministeri. Il nodo principale è legato alla figura di quello che sarà il vicepremier, ruolo finora occupato da due personalità (Matteo Salvini e Luigi Di Maio) che, pare su richiesta esplicita del Pd in cambio del via libera a Conte, dovrebbe convergere in una, probabilmente di parte dem. Non Di Maio quindi (nome su cui si erano peraltro arenate le trattative nei giorni scorsi), quanto più uno tra Andrea Orlando e Dario Franceschini (il favorito, se a Spadafora fosse assegnato un dicastero), entrambi ex ministri, anche se l'ipotesi del leader politico pentastellato resta in piedi, se non altro come eventuale secondo vicepremier, qualora si decidesse di optare per la doppia nomina. Tale scelta, però, verrebbe effettuata solo se premier e vice restassero a marca M5s (ma anche in quel caso, il nome resta quello di Spadafora).

Giustizia e Mise

A proposito di Andrea Orlando, il suo nome era stato avanzato già qualche giorno fa, quando le voci che circolavano attorno ai tavoli M5s-Pd parlavano della parte dem interessata a ottenere almeno due dei ministeri chiave per dare il proprio avallo al Conte-bis: uno di questi sarebbe dovuto essere il dicastero della Giustizia, già occupato da Orlando per quattro anni (2014-2018) sotto i governi Renzi e Gentiloni. Il ruolo di guardasigilli, comunque, come emerso nelle ultime ore dovrebbe restare, salvo clamorose sorprese, al pentastellato Alfonso Bonafede, mentre per Orlando si profila un incarico come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ruolo conteso con Vincenzo Spadafora del M5s (a quest'ultimo, inoltre, potrebbe finire una delega alle Politiche familiari) e con la dem Paola De Micheli, anche se il suo nome è stato accostato insistentemente al Ministero dello Sviluppo economico. La casella che lascerebbe vacante Luigi Di Maio non è solo quella del Mise, ma anche del Lavoro, per la quale prende quota l'iptoesi del senatore dem Tommaso Nannicini: a suo favore, pesano i ruoli di Consigliere economico dell'ex premier Matteo Renzi e, successivamente, di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega al coordinamento delle politiche pubbliche in ambito economico, sociale e di ricerca scientifica.

La sfida del Mef

Altra poltrona chiave quella dell'Economia, Ministero che per quanto definito nell'ambito delle trattative dovrebbe essere occupato da un nome suggerito dal Pd, qualora non dovesse essere riconfermato Giovanni Tria. Il Mef, al momento, risulta l'incognita maggiore (vista anche la delicatezza della posizione in vista della Manovra) anche se, in linea di massima, a riempire la casella dovrebbe essere un tecnico svincolato da connotazioni politiche: il favorito, in questo senso, sembra il vice Direttore generale della Banca d'Itaila, Daniele Franco, che sarebbe gradito a entrambi gli schieramenti anche grazie al suo passato come ragioniere generale di Stato. In alternativa, restano in orbita i nomi di Lucrezia Reichlin, economista, e di Roberto Gualtieri, presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo. Qualche analista si sbilancia anche nel fare il nome dell'economista Carlo Cottarelli, il quale riscontrerebbe certamente il consenso del Quirinale che, poco più di un anno fa, gli aveva conferito l'incarico di formare un governo tecnico quando sembrava essere naufragata l'ipotesi del governo Conte.

Interno, Esteri, Difesa, Beni culturali

Altra richiesta dei democratici è il Viminale, dove sicuramente non si insedierà Di Maio e che, inizialmente, sembrava potesse riaprire le porte al predecessore di Matteo Salvini, Marco Minniti. Un'ipotesi remota però, visto che il favorito sembra essere l'attuale capo della Polizia, Franco Gabrielli, nome che avrebbe raccolto più consensi del principale sfidante, Mario Morcone, direttore del Consiglio italiano rifugiati ed ex prefetto capo del Ministero dell'Interno, del quale è di queste ore la resa pubblica della sua contrarietà al decreto Sicurezza. Qualche voce riguarda anche Alessandro Pansa, ex direttore del Dis e guida del Dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza. Meno dubbi sulla casella degli Esteri: alla Farnesina potrebbe verosimilmente restare Enzo Moavero Milanesi, anche perché l'ex ministro Gentiloni, che nelle scorse ore era stato indicato come possibile rientrante, sarebbe indirizzato al ruolo di commissario europeo. Per quanto riguarda la Difesa, salvo sorprese non dovrebbe essere confermata Elisabetta Trenta ma il dicastero resterebbe comunque in mani pentastellate visto che, in queste ore, è insistentemente circolato il nome di Luigi Di Maio. Una soluzione che accontenterebbe il M5s e, forse, anche il Pd, conferendo al capo politico grillino un dicastero importante ma considerato non prioritario dalla parte dem della maggioranza che punta piuttosto su Economia e Interno. Ancora indefinita la situazione per quanto riguarda i Beni culturali: difficile (ma non impossibile) che resti il ministro uscente Alberto Bonisoli, al cui posto dovrebbe finire un nome in orbita Pd. Quello più plausibile è la giovane Anna Ascani, vicepresidente del partito e, nel 2017, nominata responsabile del Dipartimento Cultura dei dem. 

Gli altri ministri

Come voleva Zingaretti, non ci sarà nessun rimpasto. Qualche movimento di poltrone potrebbe esserci ma non nei Ministeri chiave: Riccardo Fraccaro, ad esempio, potrebbe occupare la casella delle Riforme abbandonando quella dei Rapporti con il Parlamento. Al Ministero della Salute dovrebbe restare Giulia Grillo, anche in virtù della questione quote rosa, riemersa in queste ore su indicazione del segretario del Partito democratico. In questo senso, anche un dicastero considerato finora intoccabile come quello dell'Ambiente, per il quale sembrava certa la riconferma di Sergio Costa, potrebbe finire in altre mani: l'ipotesi dell'ultima ora è quella di Rossella Muroni, ex presidente di Legambiente e deputata di LeU. Per l'Istruzione si starebbe profilando un derby pentastellato fra il senatore Nicola Morra e l'attuale viceministro Lorenzo Fioramonti (anche se resta in piedi l'ipotesi Marina Sereni del Pd, indicata anche come possibile sfidante di Debora Serracchiani alla Famiglia). Quasi certo, invece, l'avvicendamento ai Trasporti fra Danilo Toninelli e Stefano Patuanelli, attuale capogruppo M5s in Senato, mossa che consentirebbe al Movimento di avere forte voce in capitolo sul tema Grandi opere. Nel nuovo esecutivo potrebbe esserci spazio anche per due ex ministri dei governi Renzi e Gentiloni, Graziano Delrio (possibile nomina alle Attività produttive) e Maurizio Martina, per il quale si profila un ritorno alle Politiche agricole. Chiudono il cerchio i ministri senza portafoglio: agli Affari regionali restano caldi i nomi di Lorenzo Guerini e Vincenzo Presutto, mentre alle Politiche per il Sud sembra in aria di conferma Barbara Lezzi. Al Pd dovrebbe invece finire la casella delle Pari opportunità, ad appannaggio di una fra Lorenza Bonaccorsi e Monica Cirinnà.