Il Papa la Tg1: “Temo un’escalation del conflitto in Medio Oriente. Servono due Stati”

Le risposte di papa Francesco alla lunga intervista fattagli da direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci: "Tra Maradona e Messi ne preferisco un terzo..."

Papa Francesco durante l'intervista al Tg1 Rai. Foto: Vatican News

Papa Francesco ha risposto a una lunga intervista esclusiva con il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, andata in onda su Rai1 dopo l’edizione delle 20. Tante le domande sulle guerre in Medio Oriente e Ucraina: “Temo un’escalation. Servono 2 stati. L’antisemitismo c’è, la Shoah non è bastata” ha detto il Pontefice. Che ha risposto anche a domande sul privato: il suo stato di salute, la vita da ragazzo, l’amore per il mare, il calciatore preferito. E ha annunciato che andrà a Dubai dall’1 al 3 dicembre per la Cop28 sul clima.

Israele e Gaza

Su quanto sta accadendo in Medio Oriente, il Pontefice ha affermato: «Ogni guerra è una sconfitta. Non si risolve nulla con la guerra. Niente. Tutto si guadagna con la pace, con il dialogo. Sono entrati nei kibbutz, hanno preso ostaggi. Hanno ucciso qualcuno. E poi la reazione. Gli israeliani andare a prendere quegli ostaggi, a salvarli. Nella guerra uno schiaffo provoca l’altro. Uno forte e l’altro più forte ancora e così si va avanti. La guerra è una sconfitta. Io l’ho sentita come una sconfitta in più. Due popoli che devono vivere insieme. Con quella soluzione saggia: due popoli due Stati. L’accordo di Oslo: due Stati ben limitati e Gerusalemme con uno status speciale».

Ricordando la preghiera per la pace della scorsa settimana Francesco ha ribadito che il mondo attraversa un’ora «molto buia. Non si trova la capacità di riflettere con chiarezza e all’ora più buia io aggiungerò: una sconfitta in più. È così dall’ultima guerra mondiale, dal ’45 fino adesso, una sconfitta dopo l’altra perché le guerre non si sono fermate. Ma il problema più grave ancora sono le industrie delle armi. Mi dice una persona che capisce di investimenti, che ho conosciuto in una riunione, mi diceva che oggi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi».

Il Papa ha detto di sentire tutti i giorni telefonicamente i religiosi che si trovano a Gaza. «Il viceparroco egiziano, padre Yussuf lo chiamo tutti i giorni e mi dice ‘ma questo è terribile, adesso l’ultima cosa è che hanno bombardato l’ospedale ma a noi in parrocchia ci rispettano, in parrocchia abbiamo 563 persone, tutti cristiani e anche qualche musulmano. Bambini ammalati dei quali si prendono cura le suore di Madre Teresa’. In questa piccola parrocchia si trovano 563 persone. Tutti i giorni cerco di accompagnarli. Per il momento, grazie a Dio, le forze israeliane rispettano quella parrocchia».

Assuefazione alla guerra e antisemitismo

«Io ricordo – ha detto il Papa – un momento molto duro all’inizio del pontificato è stato quando scoppiò con tanta forza la guerra in Siria e ho fatto in piazza un atto di preghiera, dove pregavano cristiani e anche musulmani che hanno portato il tappeto per pregare. Questo momento molto duro. Per me è una cosa brutta, ma poi, questo non è bello dirlo, uno si abitua, purtroppo uno si abitua. Non dobbiamo abituarci».

E a proposito della possibile escalation mondiale precisa: «Sarebbe la fine di tante cose e di tante vite. Io penso che la saggezza umana fermi queste cose. Sì, c’è la possibilità ma … e a noi questa guerra ci tocca per quello che significa Israele, Palestina, la Terra Santa, Gerusalemme ma anche l’Ucraina ci tocca perché è vicina. Ma ci sono tante altre guerre che a noi non toccano: Kivu, lo Yemen, il Myanmar con i Rohingya che sono dei martiri. Il mondo è in guerra ma c’è l’industria delle armi dietro». Francesco parla anche dell’antisemitismo che «purtroppo rimane nascosto. Lo si vede, giovani per esempio, di qua e di là che fanno qualche cosa. È vero che in questo caso è molto grande ma c’è qualche cosa sempre di antisemitismo e non è sempre sufficiente vedere l’Olocausto che hanno fatto nella seconda guerra mondiale, questi 6 milioni uccisi, schiavizzati e non è passato. Purtroppo, non è passato. Non saprò spiegarlo e non ho spiegazioni è un dato di fatto che io lo vedo e non mi piace».

Il conflitto in Ucraina

Alla domanda sulla reazione ucraina alle iniziative di pace della Santa Sede, Francesco risponde: «Penso al popolo ucraino, non dobbiamo giudicarlo oggi. Il popolo ucraino è un popolo martire, ha avuto persecuzioni al tempo di Stalin, molto forti. È un popolo martire. Ho letto un libro commemorativo su questo e sul martirio terribile è stato terribile, Siberia… è stato un popolo che soffre tanto e adesso qualsiasi cosa gli fa rivivere quello io li capisco e ho ricevuto il presidente Zelensky, capisco, ma ci vuole la pace. Fermatevi! Fermatevi un po’ e cercate un accordo di pace, gli accordi sono la vera soluzione di questo. Per ambedue».

Il Papa ricorda: «Il secondo giorno della guerra in Ucraina sono andato all’ambasciata russa, ho sentito che dovevo andare lì e ho detto che ero disposto ad andare da Putin se serviva a qualcosa. L’ambasciatore bravo, ha finito adesso, un funzionario della Russia. E da quel momento ho avuto un buon colloquio con l’ambasciata russa. Quando io presentavo dei prigionieri, io andavo lì e loro liberavano, hanno liberato anche alcuni di Azov. Insomma l’ambasciata si è comportata molto bene nel liberare le persone che si potevano liberare. Ma il dialogo si è fermato lì. In quel momento mi scrisse Lavrov: “Grazie se vuole venire, ma non è necessario”. Io volevo andare da entrambe le parti».

La tragedia dei migranti

«Io sono figlio di migranti – ha detto il Pontefice – ma in Argentina siamo 46 milioni credo e soltanto indigeni proprio lì sono 6 milioni non di più. Gli altri tutti migranti. È proprio un Paese fatto di migrazioni: italiani, spagnoli, ucraini russi Medio Oriente tutti. E tanti del Medio Oriente, per esempio in Argentina li chiamiamo turchi perché arrivavano con il passaporto turco del grande impero ottomano e io sono abituato a vivere in un paese di migranti. Il mio papà lavorava alla Banca di Italia e andato migrante lì, è rimasto lì ed è morto lì, ha fatto la famiglia lì. Per me l’esperienza della migrazione è una cosa esistenziale forte, no con la tragedia di adesso. Ci sono state migrazioni brutte nel dopoguerra ma oggi è sempre una cosa molto drammatica e sono cinque i paesi che soffrono più la migrazione: Cipro, Grecia, Malta, Italia e Spagna. Sono quelli che ricevono di più. Poi quando questi migranti dall’Africa vengono dalla Libia vediamo le crudeltà dei lager libici, c’è una crudeltà lì, terribile, io sempre raccomando di leggere un libro che scrisse uno di questi migranti che ha atteso più di tre anni per arrivare dal Ghana alla Spagna: si chiama “Fratellino”, “Hermanito” in spagnolo. Un breve libro ma racconta le crudeltà delle migrazioni. Questo che abbiamo visto in Calabria ultimamente, terribile. L’Europa deve essere solidale con questi, non possono questi cinque Paesi prendere tutti e i governi dell’Europa devono entrare in dialogo. Ci sono piccoli paesi vuoti con dieci, quindici anziani e hanno bisogni di gente che vada a lavorare lì. C’è una politica migratoria con i passi della migrazione: riceverli, accompagnarli, promuoverli e inserirli nel lavoro. Che si inseriscano. E una politica migratoria del genere costa. Ma io penso alla Svezia che ha fatto un bel lavoro al tempo delle dittature latinoamericane… Una politica migratoria deve essere costruttiva per il bene del paese e per il bene loro e anche paneuropea. Mi è piaciuto quando la presidente della Commissione europea è andata lì a Lampedusa a vedere: questo mi piace perché sta cercando di prendersi questo».

Le donne nella Chiesa

«Qui in Vaticano ci sono più donne nel lavoro, per esempio la vicegovernatrice dello Stato Vaticano è una donna, una suora, e il governatore ha un ruolo più generico ma quella che comanda è lei. Nel Consiglio per l’Economia ci sono sei cardinali e sei laici, di questi sei laici, cinque sono donne. Poi ci sono già segretarie al posto dei monsignori: il segretario della vita consacrata è una donna dello sviluppo umano integrale una donna, nella commissione per scegliere vescovi ci sono tre donne, perché le donne capiscono cose che noi non capiamo, le donne hanno un fiuto speciale per la situazione e ci vuole, credo che vanno inserite nel lavoro normale della Chiesa». A proposito dell’ordinazione delle donne, Francesco afferma: «Lì c’è un problema teologico, non un problema amministrativo. Le donne possono fare di tutto nella Chiesa anche si può avere una Governatrice, non c’è problema. Ma dal punto di vista teologico, ministeriale, sono cose diverse: il principio petrino, che è quello della giurisdizione e il principio mariano che è quello più importante perché la Chiesa è donna, la Chiesa è sposa non è maschio la Chiesa, è donna. Ci vuole una teologia per capire questo e il potere della Chiesa donna e delle donne nella Chiesa è più forte e più importante di quello dei maschi ministri. È più importante Maria che Pietro, perché la Chiesa è donna. Ma se noi vogliamo ridurre questo al funzionalismo, perdiamo».

Sinodo e celibato

Per Francesco il risultato del Sinodo sulla sinodalità è stato «positivo. Si è parlato di tutto con tutta libertà. E questa è una cosa bella e si è riuscito a fare un documento finale, che va studiato in questa seconda parte per la prossima seduta a ottobre, come quello della famiglia, anche questo è un Sinodo in due tappe. Credo che siamo arrivati proprio a quell’esercizio della sinodalità che san Paolo VI aveva voluto alla fine del Concilio perché si era accorto che la Chiesa dell’Occidente aveva perso la dimensione sinodale che invece hanno gli orientali».

Rispondendo a una domanda sul celibato dei sacerdoti, spiega: «È una legge positiva, non è una legge naturale: i preti nelle Chiese cattoliche orientali si possono sposare e invece nelle occidentali c’è una disciplina dal secolo XII, credo, che incominciò il celibato. Ma è una legge che può essere tolta, non c’è problema. Non credo che aiuti. Perché il problema è un altro. Non aiuta. È vero che toglierebbe una cosa molto brutta che alcuni preti hanno: sono ‘zitelli’. Non so se si dice così in italiano, quella spiritualità di zitelli. Il prete deve essere padre, deve essere inserito in una comunità. Alle volte, questo mi preoccupa tanto, quando il prete guarda sé stesso dentro e si fa una figura di sacro. Questo non mi piace perché perde il contatto. Ricordo una volta ho trovato uno di 65 anni, credo, parroco di tre paesini in montagna, ogni paesino di cinquecento anime. Gli ho detto ma come fai questo? Tu conosci la gente? Ha fatto un sorriso e ha detto: ‘conosco anche il nome del cane della gente’. Questi preti che sono inseriti, veri padri di comunità. Quando il prete torna un po’ ‘squisito’, perdiamo».

A proposito del tema delle coppie omosessuali, Francesco risponde: «Quando io dico tutti, tutti, tutti, sono le persone. La Chiesa riceve le persone, tutti e non si domanda come sei. Poi dentro ognuno cresce e matura nella sua appartenenza cristiana. È vero che oggi è un po’ alla moda parlare di questo. La Chiesa riceve tutti. Un’altra cosa è quando ci sono delle organizzazioni che vogliono entrare. Il principio è questo: la Chiesa riceve tutti coloro che possono essere battezzati. Le organizzazioni non possono essere battezzate. Le persone sì».

Gli abusi nella Chiesa e fuori

Francesco nell’intervista con il direttore del Tg1 ha quindi spiegato di aver continuato l’opera di Benedetto XVI. «Si è fatta tanta pulizia. Erano tutti casi di abusi e anche alcuni della Curia sono stati mandati via. È stato coraggioso Papa Ratzinger in questo. Ha preso in mano quel problema e ha dato tanti passi e poi lo ha consegnato per finire. Questo va avanti. L’abuso, sia di coscienza, sia sessuale, sia di qualsiasi cosa, non va tollerato. È contrario al Vangelo, il Vangelo è il servizio non l’abuso e noi vediamo tanti episcopati che hanno fatto un bel lavoro per studiare gli abusi sessuali ma anche gli altri. Noi non abbiamo la cultura di lavorare contro gli abusi: per esempio la statistica che ho ricevuto da un’entità internazionale che lavora su questo, dal 42 al 46 per cento degli abusi sono in famiglie o nei quartieri e la gente ha l’abitudine di coprire tutto. È brutto questo, è brutto». Il Papa riconosce che la Chiesa ha fatto molto per la lotta contro la pedofilia, «ma c’è ancora molto da fare».

Il momento più difficile e la Chiesa che verrà

Alla domanda su quale sia stato il momento più difficile del pontificato, il Papa risponde: «Forse è stato difficile e duro quando mi sono dovuto mettere contro la guerra siriana, quella cosa nella piazza che ho detto. Non sapevo cosa fare, era molto difficile. Non ero abituato a una cosa del genere e anche la paura di sbagliare e fare del male. È stato difficile. Ci sono stati anche dei momenti facili o meno facili. Ma sempre il Signore mi ha aiutato a risolvere, o almeno avere pazienza, aspettare di risolvere». E per quanto riguarda la Chiesa dopo il suo pontificato, afferma: «Lo sa il Signore ma sempre c’è la malinconia del passato. Questo viene. Una cosa presente nelle istituzioni e nella Chiesa anche. Sono coloro che voglio tornare indietro, sono gli ‘indietristi’. Che non accettano che la Chiesa vada avanti, che sia in cammino. Perché la Chiesa è sempre in cammino, deve crescere. E anche il modo di essere Chiesa deve crescere con i tre principi tanto belli di Vincenzo de Lérins, quel padre del primo secolo, deve crescere dalle radici. Dalla radice come il succo nell’albero cresce così, ma sempre attaccato alla radice, una Chiesa che si stacca dalle radici va indietro e perde questo succo della sana tradizione, che non è un conservatorismo, no. La tradizione è crescere. E deve andare avanti. Pensiamo per esempio alla pena di morte. Oggi si dice che la pena di morte non è morale. Anche si cresce nella schiavitù. Un tempo gli schiavi erano normali. Oggi non sono normali. Anche la coscienza morale cresce. Il possesso delle armi atomiche».

Alla domanda di che cosa gli faccia paura, il Papa risponde: «Le piccole paure vengono. Che succeda questo quell’altro. La guerra in Terra Santa mi fa paura. Questa gente come finirà questa storia. Ma si risolve davanti al Signore. Non che le paure se ne vanno. Ma rimangono in modo umano, diciamo così. Questo è buono avere delle paure».

Rispondendo alla domanda sul fatto che alcuni lo definiscono “un Papa di sinistra”, Francesco ha detto: «A me non piace questo della destra, la sinistra. Sono qualifiche che non sono reali. Le vere qualifiche sono: è coerente, non è coerente? Le cose che propone sono coerenti con le radici o sono cose strane. Pensa sa San Paolo VI gliene hanno dette di tutti i colori perché è stato un innovatore. E lui non aveva niente di sinistrorso, di comunista. Se sono queste qualifiche un po’ alla mano. Sì lo so la destra la sinistra non è facile capire cosa significa».

“Andrò a Dubai per la COP 28”

«Sì, andrò a Dubai. Credo che partirò il primo dicembre fino al 3 dicembre. Starò tre giorni lì. Io ricordo che quando sono andato a Strasburgo, al Parlamento europeo, e il presidente Hollande ha mandato la ministra dell’ambiente Segolene Royal a ricevermi e lei mi ha chiesto: “Ma lei sta preparando qualche cosa sull’ambiente? Lo faccia prima dell’incontro di Parigi”. Io ho chiamato alcuni scienziati qui, che si sono affrettati, è uscito “Laudato si’ ” che è uscito prima di Parigi. E l’incontro di Parigi è stato il più bello di tutti. Dopo Parigi tutti sono andati indietro e ci vuole coraggio per andare avanti in questo. Dopo “Laudato si’ ” hanno chiesto appuntamento cinque funzionari importanti nel campo petrolifero. Tutti per giustificarsi… ci vuole coraggio. Un Paese che è un’isola nell’oceano Pacifico sta acquistano terre in Samoa per traslocarsi perché in venti anni non esisteranno più perché il mare cresce. Ma noi non crediamo a questo. Siamo ancora in tempo a fermarci. È in gioco il nostro futuro. Il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. Ci vuole un po’ di responsabilità. A me piace parlare dei pescatori di san Benedetto del Tronto. Bravi ragazzi sono venuti a trovarmi e a dirmi che non so quante tonnellate di plastica prendono e non le ributtano in mare. Perdono soldi per sistemare e pulire un po’ il mare. Noi siamo stati brutti con la custodia del creato».

Francesco ha anche confidato di essere stato l’ultima volta al mare, che gli «piace tanto», nel 1975. E ha ricordato di essere stato fidanzato prima di scoprire la sua vocazione religiosa con «una ragazza molto buona. Lavorava nel cinema. Era buona. Poi l’ho ritrovata da arcivescovo di Buenos Aires, in una parrocchia con il marito, i figli».

La fede e la salute

Alla domanda se la sua fede abbia mai vacillato, il Papa risponde: «Nel senso di perderla, no. Ma nel senso di non sentirla e di camminare nei sentieri bui: dove sta il Signore? Si sente che il Signore si nasconde, dove sta lui solo? O noi andiamo indietro e ci allontaniamo da lui. E tu dove stai Signore? E perché non risolvi questo? E tu senti il Signore che ti dice dentro, perché non ho la bacchetta magica. Il Signore non è Mandrake, no. È un’altra cosa».

Mentre sulla sua salute dice: «Ho il problema del ginocchio che sta migliorando. Adesso posso camminare bene e poi ho avuto due interventi alla pancia: il primo per una diverticolite nel colon trasversale, mi hanno tolto un pezzo e poi succede quello che succede quando ti aprono la pancia. E l’ultima ho fatto l’intervento. Hanno lavato, io ho visto il filmato. Mancava il sapone, soltanto. Lavavano le aderenze. E adesso sto benissimo. Posso mangiare di tutto».

“Tra Maradona e Messi preferisco Pelè”

Infine, il Papa risponde alla domanda su chi preferisca tra i due grandi giocatori argentini Maradona e Messi. «Io dirò un terzo. Pelé. Sono i tre che io ho seguito. Maradona come giocatore un grande, un grande. Ma come uomo è fallito. Poveretto è scivolato con la corte di quelli che lo lodavano e non lo aiutavano. È venuto a trovarmi qui il primo anno di pontificato e poi poveretto ha avuto la fine. È curioso: tanti portivi finiscono male. Anche della boxe. Messi è correttissimo. È un signore. Ma per me di questi tre il grande signore è Pelé.  Un uomo di un cuore. Io ho parlato con Pelé, una volta l’ho incontrato su un aereo quando ero a Buenos Aires, abbiamo parlato. Un uomo di una umanità così grande. I tre sono grandi. Ognuno con la sua specialità. Messi è bravo in questo momento. E Pelé era bravo».

Fonte: Vatican News