Il testamento biologico divide la Società di cure palliative

Cura

Il disegno di legge sulle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento, il cosiddetto testamento biologico) fermo alla Camera, divide anche la Società italiana di cure palliative. Un gruppo di professionisti e volontari, infatti, ha diffuso una nota in cui si afferma che il comunicato di compiacimento sulla proposta, diffuso lo scorso 15 febbraio e riproposto nelle ultime ore sul sito, “non rappresenta la totalità della Società Italiana di Cure Palliative (SICP) e della Federazione Cure Palliative (FCP)”.

Per questo chi non si riconosce in quella presa di posizione ha deciso di uscire allo scoperto. I motivi li spiega la portavoce Giovanna Razzano, docente della facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza: “Nonostante garbate mail inviate da vari soci ma anche dai Past President della SICP, Adriana Turriziani e Giovanni Zaninetta, con richieste di invito all’apertura di un dibattito interno alla Società, alla considerazione di posizioni differenti, alla pubblicazione di pareri dissenzienti da quello del direttivo, il direttivo stesso non ha risposto, mostrando di voler così ignorare il pluralismo e le posizioni differenti al suo interno. In qualità di socio SICP – spiega la professoressa Razzano – come studiosa del tema della dignità del morire, dell’eutanasia e delle cure palliative nella prospettiva del diritto costituzionale, ho scritto e condiviso con altri soci e in particolare con i Past President della SICP il comunicato”.

La nota è firmata da oltre cento tra primari, docenti universitari, medici, infermieri, volontari ed esperti di cure palliative di tutta Italia. Tra i promotori figurano anche Carlo Antonio Mario Barone, Direttore di oncologia medica Policlinico Gemelli e Direttore del Master in cure palliative e terapia del dolore, Giuseppe Casale, fondatore e coordinatore sanitario di Antea Onlus Roma, socio SICP, Maria Grazia De Marinis, professore ordinario di Scienze Infermieristiche, Direttore del Master in cure palliative e terapia del dolore, Università Campus BioMedico di Roma, Guido Fanelli, direttore Anestesia, rianimazione e terapia antalgica Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, già Coordinatore della Commissione Ministeriale sulla Terapia del Dolore e Cure Palliative del Ministero della Salute, Marco Maltoni, direttore Unità Operativa Cure Palliative coordinatore Rete Cure Palliative Forlì AUSL Romagna e Chiara Mastroianni, infermiera presidente Antea Formad.

Il comunicato esprime “dissenso e preoccupazione per la proposta di legge nell’attuale formulazione, che permette interpretazioni eutanasiche e la legittimazione dell’abbandono terapeutico. Condividiamo le perplessità espresse dai Presidi delle facoltà di Medicina della Sapienza, Tor Vergata, Gemelli e Campus Biomedico, dal Presidente dell’Ordine dei medici di Roma e dai numerosi professionisti che, aderendo in questi giorni a varie sottoscrizioni, disapprovano l’assolutizzazione dell’autodeterminazione cui si ispira la proposta di legge”. Secondo i firmatari, “prevedere per il medico l’obbligo di ottemperare alle Dat e includere in queste il rifiuto di nutrizione e idratazione (quale ‘trattamento sanitario’ e ‘scelta terapeutica’) consente interpretazioni volte a stravolgere quella relazione di cura ‘orientata alla qualità di vita delle persone affette da una malattia evolutiva inguaribile’, ai sensi dello Statuto SICP e dello stesso Codice di deontologia medico, che orienta la medicina univocamente alla tutela della vita, della salute e al sollievo della sofferenza”.

“Se è certo che nessuna cura è possibile contro la volontà espressa del paziente (e che, in taluni casi, come negli ultimi giorni di vita, la nutrizione e l’idratazione potrebbero non apportare alcun beneficio al morente), è altrettanto certo – prosegue la nota – che il rifiuto anticipato e slegato da qualsiasi contesto clinico, della nutrizione e idratazione, così come di altre terapie, con effetto vincolante per il medico, rischia paradossalmente di porsi in contrasto non solo con l’autonomia professionale del medico, ma anche con l’autonomia effettiva del paziente. Tali disposizioni aprono di fatto al rischio di abusi, come è evidente nei confronti di soggetti particolarmente deboli, come i pazienti con capacità cognitiva compromessa (pazienti in stato vegetativo, pazienti affetti da demenza, da Alzheimer, ecc.). La stessa previsione per cui le Dat ‘possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico, in accordo con il fiduciario, qualora sussistano motivate e documentabili possibilità, non prevedibili all’atto della sottoscrizione, di poter altrimenti conseguire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita’ non rassicura, perché quest’ultima espressione linguistica è ambigua e fuorviante proprio rispetto ai ‘pazienti affetti da una malattia evolutiva inguaribile’, lasciando aperta la possibilità di abbandonare il paziente che non può migliorare”.

Tra le altre criticità rilevate, i firmatari della nota evidenziano la possibilità di una “distorsione della medicina palliativa, ove questa si riduca ad essere il rimedio di emergenza che si attiva nel momento del rifiuto incondizionato del paziente della terapia in corso. Al contrario, per la legge 38 del 2010, le cure palliative consistono in una ‘cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici’. Per statuto riconosciuto dall’OMS, si propongono di considerare e alleviare la sofferenza in tutti i suoi aspetti e non accelerano né ritardano la morte, per cui sono contrarie a qualsiasi forma di accanimento terapeutico e a qualsiasi forma di eutanasia”. La nota si conclude sottolineando che “l’obbligo per il medico di ottemperare a quanto scritto tempo addietro non è previsto da nessuno degli Stati europei che hanno legiferato in tema di direttive e dichiarazioni anticipate, neppure da quelli che hanno espressamente depenalizzato l’eutanasia, perché di fatto priva i medici dell’autonomia e della responsabilità professionale”.