Ilaria Cucchi: “Vi racconto la mia battaglia per Stefano”

Quando tutto sarà finito per prima cosa saluterò mio fratello. Non ho ancora avuto modo di elaborare quel lutto, non mi è stato consentito“. L'emozione si fa largo fra le poche fessure della corazza di determinazione che Ilaria Cucchi si è costruita addosso a partire da quel maledetto 22 ottobre 2009. Quella notte la morte del fratello Stefano – in custodia cautelare nel carcere romano di Regina Coeli – apre uno dei casi giudiziari più complicati degli ultimi anni. Una vicenda lunga e tortuosa, su cui l'opinione pubblica ha mantenuto alta l'attenzione anche grazie all'attivismo di Ilaria, che non ha lesinato gesti forti per ottenere verità e giustizia. In Terris l'ha contattata. 

Dalla lettera di sostegno del generale Nicastri, comandante dei Carabinieri, alla deposizione del superteste Tedesco, passando per la possibile costituzione di parte civile del ministero della Difesa nel secondo processo sulla morte di suo fratello. Come vive questa possibile svolta?
“Sono giornate particolari, devastanti sotto il profilo emotivo ma forse decisive dal punto di vista giudiziario. Le dichiarazioni di Tedesco, uno dei tre imputati per omicidio preterintenzionale nel processo, sembrano fare luce su quanto avvenuto in quella notte di 10 anni fa. Fatti che per noi erano chiari sin dal giorno in cui abbiamo visto il corpo di Stefano all'obitorio stanno finalmente emergendo”.

A cosa ha pensato mentre ascoltava la deposizione?
“A tante cose. A partire da chi ha segnato le sorti del primo processo, vale a dire il consulente tecnico dell'accusa e il perito incaricato dal giudice, che hanno motivato con una caduta accidentale le lesioni riportate da Stefano. Ho pensato anche a chi è indagato, e mi auguro venga imputato, nell'inchiesta ter (quella sui presunti depistaggi ndr). Questo è il quadro di quanto ci stiamo mettendo alle spalle”.    

Oggi il clima sembra cambiato…
“E' vero. La situazione è completamente diversa. La Procura di Roma ha fatto un lavoro straordinario da quando è arrivato il dottor Pignatone, che ha affidato l'incarico al sostituto Musarò. Ci sono poi state le parole del generale Nistri…”

Immagino le abbiano fatto piacere…
“Ci hanno scaldato il cuore. Per 6 anni siamo stati completamente soli, noi e il nostro avvocato. Oggi, invece, il comandante dei Carabinieri non solo ci manifesta solidarietà e vicinanza ma paventa la possibilità di una costituzione di parte civile dell'Arma nell'eventuale processo sui depistaggi. Quando ho letto le sue parole ho pensato ai tantissimi carabinieri che ogni giorno sono in strada a svolgere il loro lavoro con enorme impegno e dignità, nell'interesse di noi tutti. Stiamo vivendo un momento di ricucitura fra le istituzioni e il cittadino”. 

Eppure, a livello mediatico, è stata spesso messa in contrapposizione alle Forze dell'ordine nel loro complesso…
“Sì. E non posso non pensare al ministro Salvini, che continua a farmi passare per il partito anti-polizia e a ripetere, come un disco rotto, ogni volta in cui si parla di me, che lui è dalla parte delle Forze dell'ordine. Ecco, vorrei ricordargli che le Forze dell'ordine non sono formate solo dai suoi amici ma anche da persone come il generale Nistri, il quale mi ha ringraziato per non aver mai generalizzato. Anche perché, per me, Polizia e Carabinieri sono formati per la maggior parte da brave persone”. 

Ha parlato di solitudine nei primi 6 anni. Le sarà tornato in mente anche quando si presentava davanti alla Città Giudiziaria con la gigantografia del corpo senza vita di Stefano…
“Assolutamente sì. Ricordo bene quando prendemmo la decisione di mostrare a voi giornalisti quelle immagini. Dovetti discutere con i miei, che non volevano. E' stata un'ulteriore violenza cui è stata sottoposta la nostra famiglia. Un gesto doloroso, ma indispensabile. L'impatto visivo era necessario, non bastava la sorella del morto che raccontava quanto aveva visto: l'opinione pubblica doveva essere messa davanti a quelle foto. Il rischio era quello della spersonalizzazione: il cittadino comune poteva facilmente pensare che a suo figlio, non tossicodipendente, una cosa del genere non sarebbe mai potuta capitare. Quella scelta, invece, ha fatto emergere in modo prepotente il tema dei diritti umani. Un punto dal quale dobbiamo ripartire”.

A proposito di immagini forti: un passaggio fondamentale è stato sicuramente il film “Sulla mia pelle”…
“E' stato un fenomeno incredibile. Il film è uscito a settembre e ancora oggi, nel fine settimana, mi ritrovo a fare collegamenti telefonici in occasione della proiezione di 'Sulla mia pelle'. E' uno strumento importantissimo, anche perché non tutti conoscono bene questa vicenda. Ha restituito umanità a quello che, altrimenti, sarebbe stato solo un caso giudiziario. Mio fratello non è solo il morto numero 148 nelle carceri italiane nel 2009, era una persona e il film gli restituisce questa dimensione. Stefano è deceduto come ultimo degli ultimi, nel disinteresse generale delle 150 persone che avevano avuto a che fare con lui in quei giorni. Gli hanno voltato le spalle, non lo hanno trattato come un essere umano. Questo dal film si capisce molto bene. Aggiungo una cosa…”

Dica…
“Stiamo vivendo un momento drammatico, nel quale i diritti umani vengono considerati sacrificabili in nome di un interesse superiore. Ricordiamoci che se lasciamo passare questo concetto un domani i diritti sacrificati saranno i nostri…”

Per molte persone che hanno vissuto vicende simili la ricerca della giustizia diventa un modo per colmare il vuoto lasciato da un lutto. Il suo, invece, sembra un vero e proprio impegno civile…
“E' così. Attenzione, però, a non confondere la giustizia con la vendetta. In questi anni ho conosciuto il mondo delle carceri e, devo dire, mi verrebbe di non augurare la reclusione nemmeno agli aguzzini di Stefano. Giustizia e accertamento della verità hanno un valore enorme, perché restituiscono dignità a un essere umano. E' poi importante far passare il concetto che non si fanno più sconti a nessuno, a prescindere dal ruolo ricoperto”. 

In questi anni si è esposta molto a livello mediatico. Se la giustizia vi darà ragione, quando le telecamere si spegneranno, cosa farà Ilaria Cucchi?
“Porterò avanti questa battaglia di civiltà a tutela dei diritti umani, continuando a 'strumentalizzare' la morte di Stefano per farlo. Continuerò a portare avanti la mia vita familiare, in modo diverso da come immaginavo fino a 10 anni fa, ma con la possibilità di fare molto di più per i miei figli rispetto ad allora”.