Disturbi del sonno e Alzheimer: le ultime scoperte

Se già a 30-40 anni il sonno è disturbato, memoria a rischio. E anche le capacità mentali sono in pericolo un decennio dopo

Alzheimer

La malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease) è una patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo. È la causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei Paesi sviluppati. 5% della popolazione al di sopra dei 65 anni e circa il 20% degli ultra-85enni. Secondo un team internazionale di ricercatori l’esercizio fisico migliora la salute del cervello. Gli autori dello studio, pubblicato nei giorni scorsi sul “Journal of Alzheimer’s Disease“, aggiungono ulteriori evidenze. Rafforzando “l’affascinante legame” tra un movimento regolare e benefici per la mente. La ricerca, nel dettaglio, mostra che l’attività fisica risulta essere correlata all’aumento delle dimensioni di aree cerebrali importanti per la memoria e l’apprendimento. Gli scienziati hanno esaminato le scansioni cerebrali Mri (risonanza magnetica) di 10.125 persone, esami effettuati presso una rete di centri di imaging presente in diverse aree del mondo, in particolare Nord America. Quello che è emerso dall’analisi è che coloro che praticavano regolarmente attività fisiche come camminare, correre o fare sport avevano volumi cerebrali più grandi in aree chiave. Tra cui la materia grigia, che aiuta nell’elaborazione delle informazioni. E la materia bianca, che collega diverse regioni del cervello. Nonché l’ippocampo, importante per la memoria. “La nostra ricerca – spiega il ricercatore principale, il neuroradiologo Cyrus A. Raji – supporta studi precedenti che dimostrano che essere fisicamente attivi fa bene al cervello. L’esercizio fisico non solo riduce il rischio di demenza, ma aiuta anche a mantenere le dimensioni del cervello, il che è fondamentale con l’avanzare dell’età“.

Lotta all’Alzheimer

E c’è di più: “Abbiamo scoperto – aggiunge David Merrill, coautore dello studio e direttore del Brain Health Center del Pacific Neuroscience Institute – che anche livelli moderati di attività fisica, come fare meno di 4 mila passi al giorno, possono avere un effetto positivo sulla salute del cervello”. Quindi “meno dei 10mila passi spesso suggeriti, cosa che lo rende un obiettivo più raggiungibile per molte persone”. La ricerca, analizza il coautore Somayeh Meysami, Saint John’s Cancer Institute e Pacific Brain Health Center, “collega l’attività fisica regolare a volumi cerebrali più grandi, suggerendo benefici neuroprotettivi. Questo ampio campione di studio ci permette di approfondire la nostra comprensione dei fattori legati allo stile di vita nella salute del cervello e nella prevenzione della demenza”. Uno studio Lancet del 2020 aveva rilevato che circa una decina di fattori di rischio modificabili aumentano il rischio di malattia di Alzheimer, inclusa l’attività fisica. Lo studio pubblicato adesso si basa su ricerche degli stessi autori che collegavano il consumo calorico derivante dalle attività del tempo libero al miglioramento della struttura cerebrale. “Questo lavoro dimostra l’influenza dell’esercizio fisico sull’imaging del cervello e, se aggiunto ad altri studi sul ruolo della dieta, della riduzione dello stress e della connessione sociale mostra i benefici comprovati dei fattori modificabili senza farmaci nel ridurre sostanzialmente la malattia di Alzheimer“, ha affermato George Perry, Editor-in-Chief del Journal of Alzheimer’s Diseasealzheimer

Predittori

“Con scansioni di immagini complete, si evidenzia la sinergia interconnessa tra il corpo e il cervello – conclude l’autore senior dello studio Rajpaul Attariwala – E ciò fa eco alla conoscenza delle generazioni passate. Dimostrando che una maggiore attività fisica è un predittore di un cervello che invecchia più sano“. Il messaggio è dunque uno: rimanere attivi. “Che si tratti di una passeggiata quotidiana o di uno sport preferito, l’attività fisica regolare può avere benefici duraturi per la salute del nostro cervello”, chiosano gli esperti. Inoltre un batterio gastrico comune presente in due terzi della popolazione mondiale potrebbe essere collegato a un rischio più elevato di malattia di Alzheimer. Lo rivela uno studio, pubblicato su Alzheimer’s & Dementia. Il “Journal of the Alzheimer‘s Association” ha indagato se un’infezione clinicamente evidente da Helicobacter pylori (H. pylori) aumentasse il rischio di malattia di Alzheimer nelle persone di età pari o superiore a 50 anni. L’infezione prevalente può provocare indigestione, gastrite, ulcere e persino cancro allo stomaco. Un team di ricercatori della McGill University ha analizzato i dati sanitari di oltre 4 milioni di persone nel Regno Unito di età pari o superiore a 50 anni tra il 1988 e il 2019. Ha scoperto che le persone con infezione sintomatica da H. pylori avevano un rischio maggiore dell’11% di sviluppare la malattia di Alzheimer, il rischio più elevato.Anziani solitudine

Cause

Sebbene la causa della malattia di Alzheimer sia multiforme, i risultati si basano su un numero crescente di prove sul ruolo potenziale delle infezioni, in particolare dell’H. Pylori, nel suo sviluppo. Lo studio apre strade per la ricerca futura. In particolare esplorando se l’eradicazione di questo batterio potrebbe prevenire efficacemente la malattia di Alzheimer in alcune persone. La malattia di Alzheimer colpisce milioni di persone in tutto il mondo e si prevede che i numeri aumenteranno drasticamente con il cambiamento demografico, affermano i ricercatori. “Dato l’invecchiamento della popolazione globale, si prevede che il numero dei casi di demenza triplicherà nei prossimi 40 anni. Tuttavia, mancano opzioni terapeutiche efficaci per questa malattia”, ha affermato il dottor Paul Brassard, autore senior dello studio e professore presso il Dipartimento di Medicina della McGill. “Ci auguriamo – ha affermato il dottor Brassard, medico di sanità pubblica e medicina preventiva presso il McGill University Health Center – che i risultati di questa indagine forniscano informazioni sul potenziale ruolo dell’H. pylori nella demenza. Al fine di orientare lo sviluppo di strategie di prevenzione. Come programmi di eradicazione individualizzati, per ridurre le infezioni a livello di popolazione”.

Disturbi del sonno

Le persone che hanno un sonno più disturbato tra 30 e 40 anni potrebbero avere maggiori probabilità di soffrire di problemi di memoria e di ragionamento un decennio dopo. È quanto emerso da una ricerca pubblicata sulla rivista Neurology. “I segni della malattia di Alzheimer iniziano ad accumularsi nel cervello diversi decenni prima dell’inizio dei sintomi. Quindi la comprensione del legame tra sonno e cognizione nelle prime fasi della vita è fondamentale per capire il ruolo dei problemi del sonno come fattore di rischio per la malattia“, spiega l’autore dello studio Yue Leng, dell’Università della California, San Francisco. “I nostri risultati indicano che la qualità, piuttosto che la quantità del sonno, è più importante per la salute cognitiva nella mezza età“. Lo studio ha coinvolto 526 persone con un’età media di 40 anni, seguite per 11 anni. I ricercatori hanno esaminato la durata e la qualità del sonno dei partecipanti. Questi ultimi hanno indossato un monitor di attività al polso per tre giorni consecutivi in due occasioni approssimativamente un anno l’una dall’altra. I partecipanti hanno dormito in media sei ore. Inoltre hanno completato un questionario sulla qualità del sonno con punteggi da zero a 21, (punteggi più alti indicano una qualità del sonno peggiore). Un totale di 239 persone, ovvero il 46%, ha segnalato un sonno scarso con un punteggio superiore a cinque. I partecipanti hanno anche svolto una serie di test di memoria e pensiero.

Scoperte sull’Alzheimer

I ricercatori hanno anche esaminato la frammentazione del sonno, ovvero le interruzioni brevi e ripetitive del sonno. I partecipanti avevano una frammentazione media del sonno del 19%. Ebbene, dei 175 individui con il sonno più disturbato, 44 hanno mostrato prestazioni cognitive scadenti 10 anni dopo. Rispetto a 10 dei 176 individui con il sonno meno disturbato. Quindi, le persone con il sonno più disturbato avevano più del doppio delle probabilità di avere prestazioni cognitive scadenti rispetto a coloro con il sonno meno disturbato.