Nussio (Anffas Sondrio): “L’inclusione si ottiene con l’impegno di tutti, facendo rete”

L'intervista di Interris.it a Emanuela Nussio in merito al progetto "Qua la mano fratello" di Anffas Sondrio

disabili

Secondo gli ultimi dati Istat sono 3,1 milioni le persone con disabilità in Italia, ossia il 5,2% dell’intera popolazione del nostro paese. Fatta questa premessa, bisogna ricordare che, i familiari che si prendono cura del proprio congiunto con disabilità – anche detti caregiver con un termine di origine anglosassone che letteralmente significa “colui che dona le cure “– rappresentano una figura di fondamentale importanza per la quotidianità delle persone con disabilità e, oltre a ciò, costituiscono un argine contro l’isolamento sociale delle stesse. A tal proposito però, è doveroso sottolineare che – molto spesso – i familiari caregiver, i quali in Italia sono 8,5 milioni, sono spesso lambiti da una situazione emotiva molto faticosa la quale, può generare situazioni di isolamento sociale e fatica. Il supporto alle famiglie – ed anche e soprattutto ai fratelli e alle sorelle delle persone con disabilità i quali, molto spesso, si trovano a vivere una situazione per certi versi unica ma nel contempo estremamente difficile – è fondamentale per far si che gli stessi possano condividere i propri timori e le proprie emozioni. Per questo motivo, al fine di supportare nel miglior modo possibile le famiglie e in special modo i fratelli e le sorelle di persone con disabilità, Anffas di Sondrio ha attuato il progetto denominato Qua la mano fratello. Interris.it ha intervistato in merito a questo tema Emanuela Nussio, una delle anime fondamentali di questo progetto.

L’intervista

Come nasce e che obiettivi si pone il progetto “Qua la mano fratello”?

“Vivere in una famiglia in cui è inserita una persona con disabilità comporta inevitabilmente un “banco di prova in più”, un intreccio di ruoli, di stati, di emozioni e desideri diversi che necessita una rielaborazione delle dinamiche familiari.  Ci siamo chiesti dove si collocano i fratelli e le sorelle delle persone disabili. Partendo da questi presupposti abbiamo pensato di sviluppare un percorso che supportasse la famiglia e soprattutto i fratelli nella gestione delle problematiche relative al vivere con una persona con disabilità.  A volte i fratelli provano sentimenti di rabbia, tristezza e sofferenza che spesso sfociano in un senso di isolamento, sia “sociale”, sia “familiare”. Solitamente l’attenzione dei genitori è focalizzata sul bambino disabile e quindi il fratello decide  di “mettersi da parte” per non aggiungere ulteriori preoccupazioni. A quel fratello o sorella non si presta l’attenzione dovuta e sono quasi inesistenti gli spazi e le occasioni a loro dedicati.  Ma la relazione tra fratelli è importantissima, e i genitori in cuor loro, forse un po’ egoisticamente, sperano che il fratello o la sorella si occuperanno del ragazzo disabile, quando loro non potranno più farlo. Ogni giovane che ha un fratello o una sorella disabile vive un’esperienza unica. Per questo può essere utile parlare e condividere il proprio punto di vista e le proprie emozioni con altri fratelli e con uno psicologo. Alla luce di questo bisogno, Anffas Sondrio, ha organizzato incontri individuali e incontri di gruppo suddivisi per età dei partecipanti alla presenza di una psicologa e incontri di gruppo per genitori”.

Quale importanza riveste il ruolo dei cosiddetti familiari caregiver per le persone affette da autismo? in che modo si potrebbe valorizzare e riconoscere ulteriormente il loro ruolo?

“Il familiare caregiver è spesso l’unica persona che riesce a relazionarsi con il bambino/ragazzo affetto da autismo, soprattutto nei casi più gravi. Queste persone hanno un carico di lavoro e di responsabilità molto elevato e spesso sono insostituibili. Potrebbero venire valorizzati riconoscendo loro un ruolo più definito ed anche delle maggiori risorse economiche, poiché spesso soprattutto le mamme lasciano il lavoro per potere seguire i loro figli. In molte famiglie i redditi dei disabili sono sostentamento per tutta la famiglia che non ha modo di avere accesso ad un lavoro stabile. Tutto ciò ha visto un sensibile peggioramento durante la fase più dura della pandemia, in cui gli educatori e tutte le figure professionali di supporto non hanno potuto frequentare in presenza le famiglie con problematiche di disabilità. E le famiglie sono rimaste sole, ancora più di quello che avviene normalmente”.

Quali auspici vi ponete per il futuro del progetto e per l’inclusione delle persone con autismo?

“Ritengo che il progetto “Qua la mano fratello” debba assolutamente avere una continuità anche negli anni futuri, e per questo Anffas continuerà a finanziarlo, nei limiti del possibile. È importantissimo per una famiglia che esce da un ospedale con una diagnosi di autismo in mano, con il mondo che gli crolla addosso, avere un supporto totale, senza dimenticare nessun membro della famiglia stessa: quindi bambino disabile, genitori, fratelli. Sarebbe bello coinvolgere anche i nonni, come hanno fatto in alcune realtà.  L’inclusione delle persone con autismo si raggiunge sensibilizzando la gente che si incontra, con la quale ci si relaziona tutti i giorni, coinvolgendo la scuola, i compagni di classe, tutto il tessuto sociale che ci circonda. L’inclusione si ottiene con l’impegno di tutti, facendo rete. Una parola magica ed importantissima per la quale bisogna ancora lavorare molto. Ma noi genitori pensiamo positivo e lavoriamo ogni singolo giorno per crearla. Lo dobbiamo ai nostri figli”.