Nanni (Caritas): “Mettere a sistema tutte le misure di sostegno”

Interris.it, in occasione della Giornata mondiale di eradicazione della povertà, ha intervistato il dott. Walter Nanni, sociologo e curatore del Rapporto annuale sulla povertà di Caritas Italiana

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Nel territorio dell’Unione Europea, secondo gli ultimi dati disponibili, ci sono 95,3 milioni di persone, pari al 21,6% della popolazione, a rischio di povertà o di esclusione sociale. I valori più elevati sono stati osservati in Romania (34%), Bulgaria (32%), Grecia e Spagna (entrambe al 26%). Il nostro paese, con il 24,4%, ossia 14,3 milioni di persone a rischio indigenza, è al di sopra della media europea. Interris.it, in occasione della Giornata mondiale di eradicazione della povertà, ha intervistato il dott. Walter Nanni, sociologo che, dal 1996. è curatore del Rapporto annuale sulla povertà di Caritas Italiana e dal 2015 dell’edizione italiana del rapporto Cares di Caritas Europa. Dal 2010 è responsabile dell’ufficio Studi di Caritas Italiana. Ha coordinato numerose ricerche sulla povertà e l’esclusione sociale, per conto di organismi pubblici, enti locali e organizzazioni private. Svolge attualmente il ruolo di Focal Point per Caritas Europa sui temi della ricerca e della promozione degli Osservatori Caritas sulla Povertà.

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L’intervista

Quali sono, in base ai vostri studi, i nuovi volti della povertà del nostro tempo?

“In base a ciò che riusciamo a cogliere dalle attività dei centri d’ascolto, uno dei problemi forti che si riscontrano in questo momento, è la centralità della dimensione abitativa. Ormai, un terzo delle persone che si rivolgono alla Caritas, ha un grave problema abitativo, il 70% vive in affitto, il 17% (ovvero quasi 27 mila persone) è costituito senza fissa dimora. Molto spesso quindi, nelle situazioni che incontriamo, c’è un problema abitativo, che va dall’esclusione totale della casa, al sovraffollamento, fino ad arrivare agli alti costi per il mantenimento degli appartamenti, il caro bollette e altri fattori che vanno a incidere sulla qualità dell’abitare. L’altro aspetto forte è costituito da fatto che, queste povertà, non sono sole, ma rappresentano sempre di più problemi familiari. Il 66% delle persone che si recano alla Caritas hanno figli e, tra questi, l’80% sono minorenni. Questo è un elemento molto negativo in quanto, sta ad indicare che, il sistema di tutela offerto dagli enti locali, evidentemente, non è in grado di garantire alle persone una protezione sufficiente. Inoltre, quasi la metà delle persone che si rivolgono alla Caritas, è costituito da nuovi poveri. Ciò indica che non è un fenomeno cronico ma, ogni anno, si affacciano sempre nuove persone che si sommano alle precedenti”.

In questi anni, una caratteristica della povertà, è quella di essere multidimensionale. Che cosa si intende e come si agisce in base alla vostra esperienza?

“Povertà non significa soltanto mancanza di lavoro o reddito insufficiente. In molti casi riscontriamo povertà intrecciate tra di loro. Nel momento in cui, ad esempio, l’80% delle persone che si rivolgono a noi hanno problematiche di tipo economico, il 13% ha problemi familiari, il 12 % di salute concomitanti tra loro mentre, solo il 44% ha un problema centrale forte. Nel caso di fattori intrecciati, diventa difficile capire cosa c’è alla base di tutto ciò. Molto spesso può essere un problema familiare oppure altri, come ad esempio la dipendenza da gioco e, per gli operatori, diventa difficile trovare la chiave di accesso a questo tipo di situazioni”.

Come si sono connotati gli interventi di Caritas nella risposta alle nuove povertà?

“Gli interventi si focalizzano molto sulla dimensione dell’erogazione dei beni materiali. Ciò significa viveri, abbigliamento, prodotti necessari per l’igiene personale, farmaci, biglietti per il trasporto. Vengono poi fatte azioni che hanno l’obiettivo di promuovere un reinserimento sociale delle persone, le quali sono possibili se queste ultime tornano alla Caritas. Spesso si affacciano una – due volte, chiedono un bene materiale, ma è difficile fare un progetto perché magari non tornano più. Nell’ambito del reinserimento, c’è la necessità di dare a queste persone una maggiore formazione, altrimenti non si entra nel tema del lavoro. Ciò è possibile solo se le persone ritornano e se si fa un progetto con loro”.

Che auspicio esprimerebbe per l’inclusione delle persone che stanno vivendo un periodo di fragilità economica?

“Bisognerebbe cercare di mettere in rete tutte le risorse del territorio per far sì che molte disponibilità non vengano disperse in modo non efficace. Quindi, l’auspicio in questo senso è che, tutte una serie di misure che esistono in Italia, non partiamo certo dall’anno zero, siano messe a sistema per fare il modo che ci sia una maggior capacità di intervento nelle situazioni più gravose. Questo, ad esempio, potrà essere possibile mediante una migliore condivisione dei dati da parte degli enti che erogano aiuti”.