Perché il dibattito sui simboli religiosi non è superato

Si torna a discutere di simboli religiosi nelle aule scolastiche. Il casus belli è la decisione di un docente laico di rimuovere, durante la sua ora di lezione, quel Crocifisso che l’assemblea degli studenti aveva invece deliberato di tenere sempre affisso alla parete dell’aula. Il docente – che rivendita il diritto di autotutela a presidio delle proprie libertà di insegnamento e di coscienza in materia religiosa – viene però sospeso dall’Ufficio Scolastico Provinciale e ne nasce un contenzioso che arriva fino in Cassazione, alla Sezione Lavoro. Quest’ultima ritiene necessario investire della vicenda le Sezioni Unite, collegio preposto all’enunciazione dei principi di diritto in cui si concretizza la funzione di omogenea interpretazione riservata alla Cassazione medesima.

Nell’ultimo decennio in Italia il dibattito sulla neutralità dello Stato laico in materia religiosa sembrava essersi sopito dopo la pronuncia della Corte EDU del 18 marzo 2011 nel caso Lautsi, con cui si era affermato che l’esposizione del Crocifisso non viola la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, perché “simbolo essenzialmente passivo”, che non lede il principio di neutralità.

La Sezione Lavoro ritiene tuttavia che gli argomenti di cui al caso Lautsi c. Italia non esauriscano la questione, perché ora a invocare la libertà di coscienza in materia religiosa è non un discente ma l’insegnante, nei cui confronti l’esposizione del simbolo potrebbe «evidenziare uno stretto collegamento fra la funzione esercitata ed i valori fondanti il credo religioso che quel simbolo richiama», e dunque non essere passivo.

In questo senso, secondo la Sezione Lavoro potrebbe configurarsi anche una questione di c.d. discriminazione indiretta, come definita nella direttiva 2000/78/CE, perché da una disposizione apparentemente neutra (applicabile indistintamente agli studenti e a tutto il corpo docente) deriverebbe una posizione di particolare svantaggio per il solo insegnante “dissidente”.

Per la decisione delle Sezioni Unite bisognerà attendere qualche mese; sarà peraltro interessante capire anche come esse scioglieranno il nodo delle libertà di coscienza tra loro contrapposte, poiché nel caso concreto l’assemblea degli studenti aveva deliberato per l’apposizione del Crocifisso, mentre il docente ne chiede la rimozione. Frattanto una considerazione appare lecita: l’affermazione della neutralità assoluta dello Stato (la laicité alla francese) cela il rischio di un approccio ostile nei confronti di identità culturali di matrice religiosa, perché anche il laicismo ha un contenuto valoriale, alla stregua di una qualsivoglia convinzione filosofica o del credo religioso che ambisce a soppiantare.

Anche per questo la Corte EDU non ha mai chiesto ai singoli Stati membri un’impostazione di questo tipo, ma ha sempre riservato agli stessi un ampio margine di apprezzamento in materia di religione, che viene meno solo nel momento in cui lo Stato cessa di aver un approccio pluralista; ciò consente il rispetto dell’identità religiosa di un individuo nel rispetto dell’identità religiosa della società nella quale egli vive, ove a una determinata religione può a buon diritto essere riservata una posizione “particolare” – è il caso dell’Italia con la religione cattolica e il regime concordatario -, per l’apporto sociale, culturale e valoriale che quella confessione ha storicamente fornito al consolidamento dell’identità nazionale e popolare.

Angelo Salvi, avvocato – componente del Direttivo del Centro Studi Livatino