Epidemia di sifilide in Australia

A volte ritornano. Stiamo parlando di malattie potenzialmente mortali che si credevano superate da secoli. Invece, come scritto nell'incipit, a volte si ripresentano in determinati contesti, creando allarme e paura. E' il caso della sifilide, malattia infettiva a prevalente trasmissione sessuale causata da un batterio, il Treponema pallidum.

Oltre che per via sessuale, il contagio può estendersi al feto, nella donna gravida con infezione recente, attraverso la placenta. In tal caso, il feto presenta un quadro di sifilide congenita con malformazioni che possono interessare la cute e le mucose, l'apparato scheletrico, l'occhio, il fegato, il rene e il sistema nervoso centrale. In alcuni casi, se non curata correttamente, può portare alla morte.

Australia

Come avvenuto recentemente in Australia, dove sette bambini hanno recentemente perso la vita proprio a causa della sifilide congenita – ossia trasmessa dalla madre al feto – da quando l'epidemia è stata accertata nel Queensland nel gennaio 2011. L'origine del focolaio era inizialmente contenuta nel North End, ma si sarebbe poi diffusa ulteriormente in tutto il continente australiano. Ad agosto sono stati osservati i primi casi segnalati nello stato di Victoria nel sud est, a distanza di 14 anni dall'ultimo. Successivamente, anche l'Australia del Sud ha visto un bambino nato con la malattia dagli esiti potenzialmente mortali l'anno scorso, il primo in 18 anni. Nel complesso, ci sono stati 15 casi di sifilide congenita dall'inizio dell'epidemia, tra circa 2400 in totale.

Sebbene si tratti di una malattia facilmente curabile se presa nelle sue fasi iniziali, gli esperti avvertono che ci vorranno anni per ridurne le conseguenze a livello nazionale. Per affrontare il problema dei giovani sessualmente attivi e transitori che possono diffondere la malattia con rapporti sessuali non protetti, il governo australiano ha implementato di 12,4 milioni di dollari australiani (pari a 7,65 milioni di euro) il suo programma di test del sangue. Il finanziamento “estenderà e sostiene test e trattamenti immediati” nelle comunità aborigene e delle isole dello Stretto di Torres nell'Australia settentrionale, meridionale e centrale. 

I casi di infezione accertata riguardano prevalentemente i giovani tra i 15 ei 29 anni. Quasi 120 professionisti sanitari sono stati formati per utilizzare i kit di test e oltre 4000 persone sono state sottoposte a screening da parte di servizi sanitari finanziati nelle prime fasi del programma. Il ministro per la salute indigena Ken Wyatt ha dichiarato che la diagnosi e il trattamento immediato “promettono un importante passo avanti nella riduzione della diffusione della malattia”. “Stiamo facendo progressi, ma il fatto che questa malattia prevenibile e curabile eppure mortale dilaghi in alcune comunità aborigene è una tragedia che non dovrebbe mai essere permessa”, ha concluso Wyatt, che ha anche invitato gli stati e i territori ad aumentare il loro impegno a livello locale. Affinchè malattie che si ritenevano “estinte”, non tornino a mietere vittime come in epoca medievale.