Israele: detenuti palestinesi in sciopero della fame contro i maltrattamenti

E’ iniziato lo sciopero della fame per centinaia di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Marwan Barghuti, 58 anni, dirigente di al Fatah in carcere dal 2002 in quanto condannato a ben cinque ergastoli da Israele, ha promosso l’iniziativa lanciando quella che la stampa dei Territori occupati definisce “la battaglia degli stomaci vuoti“, uno stop a oltranza all’assunzione di cibo che ha l’obbiettivo di ottenere migliori condizioni di vita per i palestinesi detenuti in Israele.

Per dare maggiore risonanza alla protesta, Barghuti è riuscito a far uscire dalla propria cella nel carcere di Hadarim (a nord di Tel Aviv) un lungo articolo che è stato pubblicato dal New York Times. Barghouthi scrive tra l’altro che “i prigionieri palestinesi stanno soffrendo torture, trattamenti degradanti e inumani e negligenza medica, alcuni sono stati uccisi in custodia”.

Questa falla nei sistemi di sicurezza è stata giudicata molto grave dal governo israeliano che adesso minaccia ritorsioni sia su Barghuti sia al giornale. Quest’ultimo “colpevole” – agli occhi di Israele – di aver “pubblicato menzogne” e di aver presentato Barghuti semplicemente come ”un leader e deputato palestinese”: evitando cioè di specificare che è stato condannato all’ergastolo per aver ispirato attentati in cui furono uccise cinque persone.

Il presidente palestinese Abu Mazen ha espresso solidarietà ai detenuti palestinesi (6.500, secondo le stime dell’Anp) e ha perorato un intervento internazionale in loro favore. Hamas – in questi giorni impegnata in un aspro confronto politico con l’Anp per la gestione di Gaza – ha convenuto che le richieste elencate da Barghuti sono condivisibili, ma finora non ha ordinato ai suoi militanti di partecipare allo sciopero della fame. Secondo attivisti palestinesi, finora circa 1.500 detenuti (quasi tutti di al-Fatah e del Fronte popolare) hanno rifiutato il cibo. I media israeliani sostengono che hanno aderito allo sciopero in 1.200 e riferiscono che le autorità carcerarie hanno avuto istruzione di non aprire trattative.