Iran, ecco perché lo scienziato Djalali rischia l’impiccagione

Amnesty International ha rinnovato l'appello alle autorità iraniane affinché liberino immediatamente e senza condizioni lo scienziato iraniano-svedese e autorizzino il suo ritorno a Stoccolma, dove risiedono la moglie e i figli che non vede da sette anni

geopolitica

Sos per lo scienziato in pericolo in vita in Iran. “Ahmadreza Djalali è stato condannato in via definitiva a morte da un tribunale iraniano con l’accusa di spionaggio- riferisce Amnesty International-. Djalali è stato arrestato dai servizi segreti mentre si trovava in Iran per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz. Si è visto ricusare per due volte un avvocato di sua scelta”. Le autorità iraniane hanno fatto forti pressioni su Djalali affinché firmasse una dichiarazione in cui “confessava” di essere una spia per conto di un “governo ostile”. Quando ha rifiutato, è stato minacciato di essere accusato di reati più gravi. Ahmad avrebbe anche urgente bisogno di cure mediche specialistiche. In pochi mesi tre diversi esami del sangue hanno indicato che ha un numero basso di globuli bianchi. Un medico che lo ha visitato in carcere ha detto che deve essere visto da medici specializzati in ematologia e oncologia in un ospedale fuori dal carcere. Dal suo arresto il 26 aprile 2016, ha perso 24 chilogrammi e ora pesa 51 kg”, riferisce l’organizzazione umanitaria.Iran

Filo diretto con l’Iran

L’Università del Piemonte Orientale è sempre rimasta in contatto con la famiglia del medico. E ha messo in atto ogni possibile intervento. In accordo con le istituzioni nazionali ed europee. Per richiedere la liberazione di Ahmadreza Djalali: “Deve essere rilasciato subito. Le accuse contro di lui sono infondate”. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Mehr l’impiccagione sarebbe imminente. Amnesty International Italia chiede nuovamente e con urgenza l’annullamento della condanna. Il medico ha lavorato a Novara, è stato arrestato in Iran nel 2016 e condannato a morte. Da allora Vida Mehrannia vive ogni messaggio, ogni telefonata con terrore. Passano gli anni e il ricercatore del centro di Medicina dei disastri (Crimedim) di Novara è sempre recluso in una cella del carcere di Evin. Con l’accusa di essere una spia, addebito che ha sempre respinto con forza. Secondo l’agenzia di stampa privata iraniana Mehr News Agency, quindi, sarebbe imminente l’esecuzione di Ahmadreza Djalali. L’esperto in Medicina di emergenza ha fatto ricerca per anni anche all’Università del Piemonte orientale.Iran

Appello

Amnesty International Italia ha rinnovato l’appello alle autorità iraniane. Affinché liberino immediatamente e senza condizioni lo scienziato iraniano-svedese e autorizzino il suo ritorno dalla moglie e dai figli che non vede da sette anni. “La comunità internazionale, compresa l’Italia, non può restare in silenzio di fronte alla situazione di Ahmadreza Djalali. E deve chiedere alle autorità iraniane di annullare la sua condanna a morte. Garantendo al detenuto, nel frattempo,  il rispetto della sua integrità fisica e della sua salute. Assistenza medica e legale adeguata. Comunicazioni regolari con la sua famiglia e i suoi avvocati”, spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Djalali è stato arrestato nel 2016 durante una visita in Iran e condannato a morte l’anno successivo con l’accusa di spionaggio. Dopo un processo gravemente iniquo. A seguito del respingimento dell’ultimo appello dei suoi avvocati, potrebbe essere messo a morte in qualsiasi momento.Iran

Diritti umani negati

Secondo Iran Human Rights (Ihr) dall’inizio del 2023 in Iran sono state giustiziate 279 persone. Tra cui cinque donne. Mentre dal 2010 a oggi sono state eseguite 7.264 condanne a morte, tra cui 192 donne e 68 minori. L’Iran “sta usando la pena di morte come arma. Per punire la popolazione che esercita i suoi diritti di base, come quello di organizzare o partecipare a manifestazioni. E schiacciare il dissenso in diretta violazione del diritto internazionale sui diritti umani”, denuncia l’Alto commissario Onu per i diritti umani. La pena di morte esiste ancora in tutto il mondo. Ed è praticata in 58 Stati. Egitto, Libia, Nigeria, Somalia, Sudan, Usa, Iran, Iraq, Giappone, Cina, Corea del Nord, Pakistan, Thailandia, Vietnam ed Emirati Arabi. Kazakhstan, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana e Sierra Leone hanno abolito la pena di morte per tutti i reati, Guinea Equatoriale e Zimbabwe per i reati comuni. Alla fine del 2022, 112 stati avevano abolito la pena di morte per tutti i reati e altri nove stati l’avevano abolita per i reati comuni. Dopo la Cina, i Paesi con il maggior numero di esecuzioni sono Iran, Egitto e Arabia Saudita. Da alcuni anni si registra una diminuzione delle condanne a morte in tutto il mondo. E gradualmente stanno anche aumentando i Paesi abolizionisti, ma il cammino per l’abolizione completa del supplizio capitale è ancora lungo.Iran

Rimozione

Un anno fa l’Onu ha approvato una risoluzione proposta dagli Usa per “rimuovere con effetto immediato l’Iran dalla Commissione sullo status delle donne per il resto del suo mandato 2022-2026″. I 54 membri del consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc) hanno approvato il testo con 29 voti a favore (compatto il sostegno dell’Ue), 8 contrari (Bolivia, Cina, Kazhakstan, Nicaragua, Nigeria, Oman, Russia, Zimbabwe) e 16 astenuti.  Tutto è cominciato con una giovane donna rimasta vittima del sistema a causa di un hijab “scomposto”. Quel velo obbligatorio che per le donne iraniane è passato da simbolo religioso a vessillo da bruciare e rifiutare anche a costo della vita. Le vittime sono prevalentemente donne, spesso adolescenti. Hanno cavalcato la ribellione al regime che, invece, mostra di non capirle più. Così come mostra di non comprendere i desideri e le necessità della società civile nel suo complesso. Donne iraniane che però sono state proclamate “eroine del 2022” per il prestigioso premio di Time.Iran

Società civile

La comunità internazionale e l’Onu hanno lanciato diversi appelli per fermare le violenze sui manifestanti pacifici, appelli rimasti per lo più inascoltati da Teheran che ha invece parlato di insopportabili “ingerenze straniere” nei propri affari interni. Sanzioni sono arrivate dall’Unione Europea per le gravi violazioni dei diritti umani denunciate dalle ong e dagli osservatori internazionali. Ma questo non basta a fermare il pugno duro del regime guidato dagli sciiti. E’ così che un anno fa a Palazzo di vetro, a seguito di una decisione considerata senza precedenti, l’Onu ha messo al voto una risoluzione per rimuovere l’Iran dalla commissione sulla condizione delle donne. La commissione è il principale organismo Onu che promuove la parità di genere e l’emancipazione delle donne. Dunque, in questo momento, la presenza della Repubblica islamica dell’Iran dentro l’organismo internazionale “è una brutta macchia sulla sua credibilità”, aveva detto l’ambasciatrice americana all’Onu, Linda Thomas-Greenfield. E’ “una risposta all’appello delle voci della società civile iraniana” ha spiegato la funzionaria. Anche perché la commissione “non può svolgere il suo lavoro se viene minata dall’interno”.