La dittatura del “kafala”. In Libano l’inferno dello schiavismo

Il passato impedisce al futuro di sorgere nel Libano ancora impantanato nella barbarie dello schiavismo

Senza diritti, vittime dello schiavismo. Il Libano è ancora scosso dall’esplosione devastante del 4 agosto e travolto dalla peggiore crisi economica e politica degli ultimi 30 anni.  Il paese mediorientale tenta “un passo enorme” nella lotta alla difesa dei diritti umani con l’entrata in vigore di una legge, da tanto tempo attesa, per la protezione delle lavoratrici immigrate, finora in molti casi ridotte a un regime definito di “semi-schiavitù”.

Schiavitù e lavoratori stranieri

Il ministro uscente del lavoro, Lara Yammine, ha diffuso ai media il testo integrale del nuovo “contratto di lavoro unificato” per le lavoratrici domestiche immigrate. La questione è da anni al centro di un aspro dibattito nel paese a causa del sistema di “kafala” (garanzia) che consentiva al datore di lavoro di avere prerogative eccezionali sulle badanti e le domestiche, spesso private dei diritti fondamentali. Ancora sos schiavismo nel 2020, quindi.

Senza diritti

Il nuovo contratto, riferisce l’Ansa, è parte di una nuova legge approvata poco prima che il governo di Hassan Diab si dimettesse lo scorso 10 agosto. Ma il testo della legge è formalmente entrato in vigore nei giorni scorsi. E il contratto di lavoro è da oggi realtà. Questo è un risultato di un anno e mezzo di lavoro avviato dal dicastero del Lavoro assieme a una nutrita piattaforma di organizzazioni della società civile locale e internazionali, tra cui l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Così come accade in moltissimi altri paesi mediorientali e del Golfo, in Libano per anni l’impiego delle lavoratrici domestiche immigrate non è stato di fatto regolato. In molti casi i datori di lavoro si trasformano in “padroni”, trattando queste lavoratrici “come delle vere e proprie schiave“.

Suicidi

Solo a Beirut sono decine all’anno i casi di di suicidio, indotto da schiavismo, maltrattamento e abusi, di lavoratrici immigrate. L’entrata in vigore di questa legge è vista come “una vittoria” da parte delle organizzazioni della società civile, in prima fila da anni nella difesa dei diritti e nella promozione delle tanto attese riforme strutturali. Da ottobre scorso il paese è attraversato da proteste popolari anti-governative sullo sfondo di una crisi economica e finanziaria senza precedenti negli ultimi decenni. Le organizzazioni della società civile che hanno lavorato alla legge “anti-kafala” sono le stesse impegnate da mesi nella rivendicazione di riforme strutturali.  Nella deflagrazione di più di un mese fa sono morte almeno 192 persone, tra cui molte badanti bengalesi, etiopi, eritree, indiane e di altre nazionalità. Sono proprio queste donne al centro dell’attenzione della nuova legge.