Saper scandalizzare

Le parole di Papa Francesco turbano, talvolta addirittura indignano qualcuno. Cristo scandalizza ancora oggi. “Sasso d’inciampo e pietra di scandalo”, chiama Gesù l’apostolo Pietro. Questo, infatti, è il significato del termine greco: ostacolo. Chi predica la Parola e non scandalizza non rende giustizia, ma emette fiato inutile e senza valore. Non è facile, obbliga a fermarsi e cambiare direzione di vita.

“Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, […] se amate solo quelli che vi amano, quale merito ne avete?”, dice Gesù. Esiste comandamento più scandaloso? A questo dovremmo pensare ogni volta che l’altro, chiunque sia – familiare, amico, collega, terrone, nero, migrante o profugo – , con il suo dire o il suo agire ci fa venire il sangue agli occhi.

Uno scandalo, forse ancora più grande, nasce dal richiamo di Cristo a rispettare lo spirito e non la lettera della legge. Ed è a questo invito che più volte fa riferimento Papa Bergoglio nel suo scandalizzare. “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!”, c’è scritto nel Vangelo. E così si afferma il primato della coscienza, che tutti a parole rivendichiamo, ma che temiamo più di ogni altra cosa. Non c’è nulla di più ammaliante e di più tormentoso, per l’uomo, che la libertà della propria coscienza, scriveva Dostoevskij.

Tragicamente vero. Ma cos’è, la coscienza? La capacità dell’uomo di riconoscere la verità e distinguere tra il bene e il male, potremmo dire. Una capacità innata, eterna, che ci vincola a seguire la verità, secondo la sublime lezione del Cardinale Newman, il quale brindava prima alla coscienza e poi al Papa. Non è un giudice che possiamo corrompere per aggiustare le cose come piace a noi, ma un giudice giusto e inflessibile, che sa qual è la verità, ce la indica e ci invita a seguirla, se lo ascoltiamo con cuore sincero.

Cambiare il mondo è impossibile? Non lo è, se si segue la voce della coscienza, aiutati dalla Grazia di Dio. Se tutti lo facessimo, i reati sparirebbero, i codici legislativi non servirebbero più a nulla, i tribunali non avrebbero utilità e le carceri si svuoterebbero. E non dovremmo più sperare nel Paradiso, perché il Paradiso sarebbe qui, adesso. Invece, mettiamo a tacere la coscienza a martellate di ideologia mascherata di presunta razionalità, come Pinocchio con il Grillo parlante. Il risultato: noi non cambiamo e il mondo resta lo scempio che è. Poi ci nascondiamo dietro a un dito, gridando che al mondo non c’è giustizia. Un alibi, per noi che siamo ingiusti. Come se la giustizia fosse fuori e non dentro di noi.

Ci sono troppe leggi, diciamo. Incomprensibili e, spesso, contraddittorie. Ed è vero. Eppure, i Comandamenti sono soltanto dieci e chiarissimi, ma restano inapplicati. Ne basterebbe uno solo, che li racchiude tutti, il Comandamento dell’amore: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. La regola aurea, di non fare agli altri ciò che non vorremmo fatto a noi. Non riusciamo a rispettare nemmeno quello. Ed è proprio qui, sembra, il fare scandalo di Papa Francesco: nel suo invito, paziente e insieme determinato ad amare noi stessi e amarci gli uni gli altri e amare Dio come Lui ci ama.

Quantità e qualità delle leggi non hanno la colpa dei nostri disordini sociali e morali. La responsabilità è della nostra volontà. Ascoltare la voce della coscienza è difficile, faticoso, assai più facile è ignorarla, o adattarla al nostro comodo, in modo che ci dia sempre ragione. Quando ci guardiamo allo specchio dell’anima, però, sappiamo benissimo che mentiamo a noi stessi e ci prendiamo in giro. La domanda è: come pensiamo di farla franca con Dio? Crediamo forse che sia cieco e sordo o stupido e si lasci far fesso? Smettiamola, dunque, con questo osceno scaricabarile. Posiamo il martello del giudizio e lasciamo che la coscienza viva e parli a gran voce. Ci guiderà alla Terra Promessa, che altro non è se non il cuore libero dell’uomo.