Autonomia differenziata e LEP: cosa rischia la sanità pubblica

Il dottor Francesco Persone (AIOM), intervistato da Interris.it, spiega a quali trasformazioni e rischi potrebbe andare incontro il Sistema Sanitario Nazionale con l'eventuale approvazione dell'Autonomia differenziata e dei LEP

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A destra il dottor Francesco Perrone. Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay

Nella lotta contro il cancro le armi più efficaci sono la prevenzione e un piano terapeutico adeguato. In un’epoca di grandi progressi, perché questo accada, è però indispensabile che tutti i cittadini possano accedere ai servizi offerti dal Sistema sanitario nazionale, che a loro volta devono essere precisi e personalizzati.

L’intervista

In occasione della Giornata Mondiale contro il Cancro, Interris.it ha parlato con il dottor Francesco Perrone, presidente dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM), soffermandosi su uno dei temi caldi di queste settimane. Si tratta dell’autonomia differenziata a livello regionale che potrebbe modificare l’intera fisionomia della sanità pubblica.

Presidente, lei si è detto subito perplesso, cosa la preoccupa di questo possibile scenario?

“Il timore è che aumentino le divisioni e la concorrenza tra le Regioni. Già negli ultimi anni infatti, ci sono stati dei segnali di un incremento delle disparità regionali per molti aspetti che riguardano l’oncologia. Penso alla cultura e alle scelte che riguardano la riduzione delle cause del cancro e quindi  alla prevenzione primaria, ma anche alla scarsa efficienza dei programmi di screening, ovvero quella che definiamo prevenzione secondaria. Inoltre, aggiungerei all’organizzazione delle reti oncologiche regionali, all’accesso a test innovativi e a farmaci ad alto costo, all’accessibilità dei servizi del SSN e alla ripresa, dopo il Covid, della migrazione sanitaria da Sud a Nord. Il mio timore è che l’autonomia regionale possa enfatizzare drasticamente tutti questi problemi”.

Ad oggi il Sistema Sanitario a volte appare depotenziato rispetto a quello privato. Si tratta di un fenomeno che investe tutta l’Italia o solo alcune Regioni?

“La sanità privata oncologica esiste in molte Regioni, ma in alcune assume una maggiore rilevanza per numero e dimensioni delle strutture e per qualità delle prestazioni offerte. Non ho nulla da obiettare sull’esistenza di tali istituzioni e apprezzo la loro qualità, ma temo si possa arrivare alla “cannibalizzazione” della sanità pubblica della Regione in cui operano. Si rischia di alimentare la migrazione sanitaria che, per i cittadini che la affrontano, potrebbe rappresentare un danno economico e che solo raramente porta a un reale cambiamento della aspettativa prognostica”.

L’articolo 32 della Costituzione stabilisce che la salute è un diritto fondamentale dell’uomo e per tal ragione un ventennio fa sono stati introdotti i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). I loro compiti sono stati rispettati?

“A mio avviso, no. Il loro raggiungimento avrebbe dovuto da un lato rappresentare un presupposto perché si potesse realmente applicare il federalismo e dall’altro un motivo di maggior supporto centrale per le Regioni che stentavano a garantirli. Al contrario invece, hanno finito con il rappresentare strumenti di valutazione della performance con erogazione di premialità alle Regioni che riuscivano a garantirli e di sanzioni, ad esempio attraverso l’erogazione di piani di rientro, per quelle che al contrario stentavano”.

Il disegno di legge vorrebbe introdurre i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). Cosa non condividete di questa scelta? 

“In linea di principio i LEP sono più facili da raggiungere rispetto ai LEA, poiché sono semplificati e ridotti a prestazioni più elementari. Garantire equità nelle prestazioni è senz’altro una cosa buona, ma l’oncologia sta crescendo perché aumenta la coscienza della necessità di una presa in carico ampia dei pazienti, che include non solo la diagnosi e la terapia, ma anche un approccio multidisciplinare che tiene in considerazione la cura di aspetti apparentemente laterali ma che al contrario concorrono significativamente alla qualità della vita, come la psicoterapia e le terapie riabilitative. Per questo motivo ritengo che i LEP siano riduttivi”.

Lei parla di un team multidisciplinare.  A cosa serve?

“Il cancro nelle sue varie forme richiede quasi sempre che un paziente debba entrare in contatto con diversi specialisti ed è abbastanza chiaro che la multidisciplinarietà va applicata dall’inizio del percorso di ogni paziente. Questo avviene facilmente negli istituti oncologici monotematici perché si tratta di professionisti che lavorano sotto lo stesso tetto, mentre può essere più difficile nelle strutture ospedaliere non dedicate. Per questo motivo da anni si lavora a strutturare le reti oncologiche che si basano proprio sul funzionamento dei team multidisciplinari, coinvolgendo specialisti che lavorano in ospedali diversi. Da questa collaborazione nasce una crescita culturale di tutti gli operatori e maggiori chance per i pazienti di sfruttare al meglio tutte le opportunità terapeutiche”.

In Italia, nel 2023, sono stati stimati circa 395.000 nuovi casi di tumore e circa il 60% di questi pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi. Questo dato significa che le cure e l’assistenza funziona?

“Certamente sì e a dimostrazione che il nostro SSN è all’altezza della situazione ce lo dice anche il fatto che ad oggi è sempre maggiore la tendenza alla riduzione della mortalità per cancro. Questo dato però non deve farci ignorare i sintomi di malfunzionamento che tuttora esistono e che mi inducono ad affermare che nonostante abbiamo la grande fortuna di vivere in uno dei migliori sistemi sanitari del mondo, abbiamo anche il dovere di accorgerci che questo servizio necessita di un’attenta manutenzione”.