Libia, Onu preoccupata per l'ammontare dei civili morti

Si dichiarano “preoccupati per il deterioramento della situazione dei diritti umani in Libia” gli agenti Onu che stanno monitorando la situazione in Libia, dove sono in corso attacchi fra le truppe del governo di Fayez al Sarraj, presidente del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale libico, e quelle capitanate dal generale Khalifa Haftar, l'uomo forte della Cirenaica. Secondo il rapporto diramato di recente dalle Nazioni Unite e firmato dal portavoce dell'Ufficio dell'Alto Commissariato dell'Onu per i diritti Umani (Ohchr), Rupert Colville, a destare apprensione è soprattutto il trattamento riservato ai difensori dei diritti umani e ai giornalisti, accanto alla fragilità alla quale sono esposti i civili che vivono nella terra martoriata di Libia

Una guerra a più facce

Finora per tutto il 2019 si documentano circa 284 morti civili 363 feriti: un aumento di oltre un quarto rispetto alle stime stilate lo scorso anno. L'Ohchr ha, infatti, denunciato che sono i civili le principali vittime di questo bagno di sangue: un bilancio di circa 182 morti caduti sotto i raid aerei e i bombardamenti dovuti a ordigni esplosivi improvvisati. Il documento riporta anche diverse vittime di rapimenti. Ma per l'Onu la “questione libica” non rimane confinata alla terraferma. Nel bilancio delle Nazioni Unite, attenzione viene posta anche ai flussi migratori, che risentono inevitabilmente del conflitto nel Paese. A essere incriminati sono i cosiddetti “campi di detenzione libici” dove si perpetuano violazioni dei diritti umani:  “Tra gennaio e novembre, oltre 8.600 migranti sono stati intercettati in mare dalla Guardia costiera libica e riportati in Libia, che ovviamente non può essere considerato in nessun modo come un porto sicuro per lo sbarco”, denuncia l'Onu.

L'inchiesta di Avvenire

C'è l'ombra pesante dei crimini contro l'umanità fra le pagine del rapporto numero 18 presentato qualche mese fa alla Procura dell'Aja e in cui sono messi al centro proprio i campi dei prigionia – attualmente sotto il controllo del Dipartimento contro l'immigrazione illegale di Tripoli -. Nel dossier, presentato a ottobre, si elencavano circa 4.800 rifugiati e profughi incriminati e reclusi in aree prossime alle zone di conflitto libiche: “migranti e rifugiati continuano a essere a rischio di tortura, violenza sessuale, rapimento per riscatto, estorsione, lavoro forzato, uccisioni illegali e detenzione in condizioni inumane” recita il dossier. Come ha documentato l'incessante attività del giornalista di Avvenire Nello Scavo, già da tempo il Consiglio di sicurezza era al corrente di trattamenti ritenuti lesivi della dignità umana. Risale al 2017, infatti, l'intervento della procuratrice dell'Aja, che denunciava il “mercato per la tratta di esseri umani” in Libia, e un anno dopo sulle scrivanie dei funzionari del Palazzo di Vetro v'era già un corposo dossier su cui era documentato “l'uso di forza eccessiva e illegale da parte dei funzionari del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale”.

Verso una ridefinizione

Le indagini del giornalista Scavo, ora sotto scorta, hanno messo in luce la presenza di alcuni trafficanti di esseri umani al tavolo italiano di gestione della crisi libica. Nel frattempo, l'Unione europea ha reiterato il suo appello a tutte le parti libiche perché “cessino tutte le azioni militari e ricomincino il dialogo politico […]. Tutti i membri della comunità internazionale dovrebbero osservare e rispettare l'embargo sulle armi dell'Onu” ha sottolineato Joseph Borrell, portavoce dell'Alto rappresentante dell'Unione europea. Con il prossimo vertice di Berlino, il nuovo anno sarà decisivo nella definizione di una strategia in Libia che abbia come priorità aspetti esclusivamente umanitari.