Giornata per la Salvaguardia del Creato: diverse considerazioni sono ancora valide

Volgiamo lo sguardo indietro. Siamo ancora lontani di quasi un decennio dalla promulgazione della nota Enciclica Papale Laudato Sì sulla cura della Casa Comune. Correva l’anno 2006. E la Conferenza Episcopale Italiana lanciava la Prima Giornata per la Salvaguardia del Creato, invitando i cristiani delle diverse confessioni alla riflessione sul tema della sostenibilità ambientale sostenuti dalla confessione di fede: «Credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra».

Oggi. Edizione numero 16. Il mondo sembra, ed è, radicalmente cambiato. Sale al Cielo San Giovanni Paolo II, Barack Obama è il primo presidente di colore eletto negli USA, la crisi del debito greco fa sprofondare l’area euro in una grave crisi finanziaria ed economica, le primavere arabe, il disastro ambientale di Fukushima, la dimissione dal trono pontificio di Benedetto XVI e l’elezione del papa delle periferie, il terrorismo dell’ISIS, il movimento Fridays for Future. E poi? Con queste premesse, gli effetti contingenti della pandemia da Covid – 19, per quanto dirompenti, potrebbero essere considerati solo gli ultimi di una lunga serie di avvenimenti. Anche perché gli effetti e le conseguenze hanno contorni tutt’altro che definiti.

Ma rileggendo il messaggio che sedici anni fa animava quella che oggi è la Giornata per la Custodia del Creato sono ancora valide diverse considerazioni. Purtroppo. Poco o nulla sembra essere cambiato in ordine al modello economico alla base della nostra convivenza. Che anzitutto sembra aver definitivamente preso il sopravvento su ogni eventuale modello sociale che si volesse proporre. Già del 2001 la Charta oecumenica redatta dalle Chiese Cristiane Europee lanciava un monito sulla necessità di contrastare la “costrizione al consumo”. Un consumismo smisurato e dilagante pervade oramai ogni sfera della nostra quotidianità. Anche quando non acquistiamo, o non vorremmo farlo, siamo stimolati ad agire come consumatori. Che in altri tempi si sarebbero chiamati, banalmente, spendaccioni. Senza poter incidere sulle ricadute della produzione e del fine vita del prodotto, in assenza di un quadro regolamentare in grado di far fronte alle economie emergenti (tra le quale devono ormai annoverarsi le aziende multinazionali), a pagarne il prezzo sono come sempre i più deboli che, già poveri, finiscono per diventare poverissimi. Se non inutili(zzabili).

È la cultura dello scarto. Non si tratta solo di organizzare la gestione dei rifiuti prodotti dalle nostre attività quotidiane. Aspetto importantissimo che dovrebbe iniziare dalla fase di design del prodotto, affinché esso sia concepito e immaginato per favorire la capacità del sistema di riassorbirne le componenti al momento del fine vita. La cultura dello scarto ha radici antropologiche. Per usare le parole del pontefice la nostra società “sta progressivamente erodendo la consapevolezza riguardo a ciò che rende preziosa la vita umana.” Secondo i dati riportati da FOCSIV, per le batterie che alimentano ed alimenteranno il passaggio alla mobilità elettrica dovremmo ringraziare quasi 50.000 bambini sotto i 7 anni che scavano a mani nude nelle miniere di cobalto. Una transizione tutt’altro che ecologica.

Ma anche una ecologia che non ha spiccati elementi di transizione. Se non utilitaristici. Manca drammaticamente la consapevolezza di quanto sia importante riconoscere che “Tutto è connesso” e per questo è necessario agire in modo “integrale”. È il messaggio centrale della Laudato Sì. Ripreso senza riserve nel messaggio dei vescovi italiani. Non è sufficiente aggiustare il tiro, rispolverare vecchie idee o tirare a lucido qualche buona intenzione. Siamo già saturi di green washing. È necessaria una rivoluzione copernicana, che porti alla definizione di un nuovo patto sociale. Che non è un punto di arrivo, ma presupposto per una svolta nella definizione delle politiche e delle prassi per affrontare le sfide connesse alla cura della Casa Comune.

È fondamentale dunque riscoprire il valore della società e della comunità. Non può esserci cura senza condivisione e partecipazione. Divisioni, contrapposizioni ideologiche esasperate, campanilismi sono l’antitesi di una soluzione efficace. Che peraltro ha bisogno di gradualità, transizione appunto. Non c’è giustizia senza comunione. Se il messaggio ha un valore universale, non deve essere snaturata la sua origine che a maggior ragione vale la pena essere valorizzata. L’ecumenismo nelle chiese cristiane e tra le altre confessioni religiose può favorire il mantenimento di uno “zoccolo duro”. Non certo una élite. Anzi. Voi siete il sale della terra. Che per essere veramente efficace ha bisogno di sciogliersi.

Oggi questo messaggio evangelico assume un valore ancora maggiore. Il collegamento con la Casa Comune è diretto. Così è l’esperienza dei Circoli Laudato Sì, nati in seno al Movimento Cattolico Mondale per il Clima. Piccoli granelli di senapa. Ed ancora più in profondità si cela il significato proprio di questa giornata. La necessità anzitutto di riscoprire la natura umana di Creatura, ovvero di discendenza dal Creatore. San Giovanni Paolo II nella sua Centesimus Annus ammoniva sulle conseguenze della rottura di questo rapporto, peraltro già evidente nell’epilogo dell’Eden. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura.