Agapito Lodovici (Wwf): “Siamo in ritardo nella tutela delle zone umide”

In occasione della Giornata mondiale delle zone umide, l’intervista al responsabile acque di Wwf Andrea Agapito Lodovici

Nell'immagine: a sinistra foto di albertosandrin da Pixabay, a destra Andrea Agapito Lodovici (per gentile concessione)

Capita, nella vita di tutti giorni, di usare i termini “palude”, “stagnante” e “acquitrino” con un’accezione negativa, per indicare una situazione in cui qualcuno o qualcosa resta bloccato, non riesci a muoversi da lì perché appunto “ristagna” o si è “impaludato”. E ancora, nell’ultimo caso, un luogo non troppo gradevole né salubre. In natura hanno invece un’accezione positiva perché la palude, lo stagno e l’acquitrino, fanno parte delle zone umide. Una piccola porzione della superficie terrestre, appena il 6%, fondamentale per la biodiversità e di conseguenza per la vita dell’uomo. Tanto da essere oggetto della Convenzione internazionale di Ramsar, il trattato intergovernativo firmato in Iran in questo giorno, 53 anni fa, che si prefigge lo scopo della conservazione e della gestione di questi siti. Il 2 febbraio si celebra quindi la Giornata mondiale delle zone umide. “Un evento utile per ricordare l’importanza di queste aree e individuare le azioni più importanti legate alla loro rivalorizzazione”, dice a Interris.it Andrea Agapito Lodovici, responsabile acque del Wwf.

I siti

Nella Lista delle zone umide di importanza internazionale i siti designati sono 2.503, per una superficie totale di 257.183.643 ettari. L’Italia ha ratificato la Convenzione nel 1977 e ne ospita 57. Queste aree comprendono sia ecosistemi d’acqua dolce, laghi, fiumi, falde acquifere sotterranee, paludi, acquitrini, oasi, estuari, delta, piane di marea, mangrovie, siti artificiali come stagni, risaie, bacini e saline, che quelli marini e costieri. “Le zone umide ci circondano e sono depositarie di una ricchezza biologica estremamente elevata, insieme alla barriere coralline e alle foreste tropicali”, spiega Agapito Lodovici. “In Italia abbiamo fiori all’occhiello come Orbetello e i laghi del Circeo, ma anche siti a rischio come nel bacino del Po, a causa degli effetti del cambiamento climatico e della siccità”, sottolinea. Una considerazione che non era così condivisa, prima degli anni Settanta del secolo scorso. “Le paludi erano ritenute malsane per via della malaria e a partire dal 1800 vennero bonificate sia per questa ragione che per avere territorio agricoli. Ma da cinquant’anni la concezione di questi luoghi è cambiata”, aggiunge l’esperto.

La loro importanza

In base ai dati raccolti dalla Convenzione, la nostra sopravvivenza è strettamente connessa alla loro. Le zone umide forniscono i mezzi di sostentamento a oltre un miliardo di persone nel mondo, tra chi vive di pesca e acquacoltura e chi di coltivazione e lavorazione del riso. Sono anche una barriera protettiva, perché salvaguardano il 60% degli abitanti del pianeta che vivono lungo le coste da mareggiate, uragani e maremoti. Le zone umide “hanno diverse e importantissime funzioni”, spiega il responsabile acque del Wwf, perché “sono fondamentali per la riduzione del rischio idraulico e per il ciclo idrogeologico dell’acqua” e funzionano anche come “depuratori” dell’acqua e “serbatoi” di anidride carbonica. “Tendono a raccogliere i sedimenti e a fare da tampone in quelle situazioni in cui c’è una grande quantità d’acqua tutta insieme, come le alluvioni. Oltre a questo, ricaricano le falde acquifere in profondità e rilasciano progressivamente l’acqua. In molte zone del nord Italia, soprattutto nella pianura padana, assorbono naturalmente i nitrati usati in agricoltura e la loro rigogliosa vegetazione cattura e immagazzina il carbonio, attività fondamentale alla luce del cambiamento climatico”, spiega Agapito Lodovici. Nel tempo, poi, hanno assunto anche una funzione “ricreativa”. “La riscoperta di questi ambienti per dedicarsi ad attività come il birdwatching consente di trascorrervi momenti piacevoli”, evidenzia l’esperto. “Da anni il Wwf organizza iniziative nel delta del Po per favorire le visite guidate in questi luoghi, in modo da renderli interessanti per i turisti in tutti i periodi dell’anno”, aggiunge.

Le minacce

I pericoli per le zone umide sono tre, gli effetti del cambiamento climatico, le attività umane, più della metà di questi siti è danneggiato dall’agricoltura, che è responsabile del 70% del prelievo di acqua, e l’invasione di specie aliene. “L’inquinamento e le bonifiche incidono direttamente su queste aree, mentre i cambiamenti climatici e l’invasione di specie aliene sono le minacce che possono dargli il colpo di grazia”, illustra il responsabile acque del Wwf. Al variare della temperatura infatti si modifica anche il ciclo idrogeologico delle acque. Nel 2022 in Italia a causa della siccità alcune zone umide sono state asciutte da aprile fino a fine agosto, con danni per le specie animali nella stagione della riproduzione e per le piante. “Questo facilita anche la diffusione di quelle piante arbustive che si sostituiscono a quelle originarie”.

Tutela e ripristino

Si tratta di ecosistemi fragili, con un alto tasso di declino: in mezzo secolo è andato perduto il 35% delle zone umide mondiali. La tutela e il ripristino delle zone umide sono fondamentali per ridurre la vulnerabilità territoriale e arrestare la perdita di diversità biologica – più rapida negli ambienti di acqua dolce rispetto a quelli terrestri e marini. “L’area risente immediatamente dei cambiamenti del ciclo dell’acqua: in oltre quarant’anni di osservazione di una piccola palude vicino al fiume Oglio, ho notato la scomparsa di specie animali e di piante, mentre in Abruzzo alcune sorgenti si sono seccate e si sono perse delle specie legate a quei territori”, racconta Agapito Lodovici. Uno stillicidio, secondo l’esperto, che evidenzia: “Siamo in ritardo e facciamo molta fatica ad adottare e applicare le direttive europee, come la direttiva quadro sul buono stato ecologico delle acque del 2000”. Per colmare questo ritardo, il Wwf, spiega il responsabile, ha proposto un progetto di rinaturazione del Po inserito nel Piano nazionale di ripresa resilienza, con l’obiettivo di ripristinare 700 ettari di zone umide.