Libano: migliaia di rifugiati siriani pronti a rientrare nel proprio Paese

Circa 9 mila rifugiati siriani che si trovano al confine con il Libano possono rientrare nel loro Paese. Lo riportano media di Beirut. Il ministro degli esteri libanese, Gibran Bassil, ha fatto riferimento al rientro di migliaia di profughi rimasti per anni sull’altopiano frontaliero di Arsal, teatro nei giorni scorsi di una battaglia tra miliziani di Hezbollah e loro rivali qaedisti. L’accordo raggiunto tra le parti prevede, dopo la resa dei terroristi sconfitti e la loro evacuazione di Arsal verso la regione siriana di Idlib, lo scambio di salme dei rispettivi combattenti avvenuto nelle ultime ore e, a partire dai prossimi giorni, il trasferimento di migliaia di rifugiati dall’altopiano di Arsal al Qalamun siriano, dall’altra parte del confine.

Le organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, intanto, lanciano un nuovo allarme sul dramma vissuto dai civili a Raqqa, assediata dalle truppe anti Isis. “Dopo Mosul, l’attenzione di questi giorni deve necessariamente essere rivolta alla città di Raqqa dove tra 30.000 a 50.000 civili ci risultano intrappolati e vittime di sanguinosi combattimenti” ha detto Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia. “La metà di queste persone sono bambini che vivono in condizioni umanitarie proibitive, continuamente sotto attacco e bombardati. Un vero inferno”. I minori e le famiglie “che sono riuscite a fuggire nei campi di accoglienza limitrofi senza aver bevuto e mangiato per giorni, esausti, sconvolti e disidratati a causa delle alte temperature – ha aggiunto – raccontano di strade piene di mine e di cecchini, di aver assistito all’uccisione dei loro parenti e a scene di rara crudeltà e violenza. Sono inoltre saltati i servizi sanitari di base, l’ospedale pubblico non è agibile, restano solo alcune strutture private che funzionano solo parzialmente, un quadro davvero devastante e in via di peggioramento”.

Ma non finisce qui. “Da un mese – ha proseguito Iacomini – mancano acqua ed elettricità, la popolazione raccoglie acqua non pulita dall’Eufrate, sottoponendosi al rischio di malattie ed esponendosi ad attacchi e fuochi incrociati continui. Scarseggiano le forniture alimentari. Anche prima dell’escalation dei combattimenti, le Nazioni Unite dal 2015 non sono riuscite a raggiungere i civili nella città di Raqqa in maniera regolare. I bambini non ricevono vaccini salvavita da due anni, si rischia l’esplosione di una grave epidemia di polio che ad oggi ha colpito 1 bambino su 5 nella stessa città di Raqqa. Dal 1 aprile 2017, i combattimenti hanno sradicato più di 200.000 persone in tutto il Governatorato di Raqqa, anche in questo caso la metà sono bambini”.