Progetto Arca: al fianco dei richiedenti asilo politico

La dottoressa Costantina Regazzo di Fondazione Progetto Arca Onlus, intervistata da Interris.it spiega i passaggi che portano alla richiesta di asilo politico in Italia

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A sinistra Costantina Regazzo. Foto: Fondazione Progetto Arca Onlus

I richiedenti asilo politico nutrono la speranza di poter iniziare a vivere in mondo meno difficile rispetto a quello da cui sono scappati. Nonostante ciò, la maggior parte di loro porta sempre nel cuore la terra natale dove hanno lasciato molti degli affetti più cari. Alcuni di loro fuggono da guerre senza fine e da carestie, altri invece, sono vittime di persecuzioni disumane. Per chi richiede asilo in Italia, il nostro bel Paese rappresenta il porto sicuro, un luogo dove poter iniziare un nuovo capitolo della propria vita. Per farlo però, è indispensabile avviare un processo di integrazione con la comunità locale. 

Fondazione Progetto Arca Onlus

Dal 2011, anno dell’emergenza umanitaria in Nord Africa, la Fondazione Progetto Arca Onlus accoglie chi fugge da situazioni difficili come la guerra e la povertà. Nei cinque centri di accoglienza straordinaria (CAS) di Milano viene garantita l’assistenza sanitaria, il sostegno socio-psicologico, i servizi di orientamento legale e il supporto burocratico e amministrativo. Inoltre, sono promosse attività per la piena integrazione dell’ospite nella comunità, a partire dall’insegnamento della lingua italiana fino a percorsi di formazione professionale. Ad oggi sono ospitate più di 600 persone e il team multidisciplinare del Progetto Arca si aggira attorno alle 200 unità a cui vanno aggiunti i circa 500 volontari.

L’intervista

Interris.it ha intervistato Costantina Regazzo, direttrice dei servizi della Fondazione Progetto Arca Onlus, impegnata a seguire i richiedenti asilo dal momento iniziale del loro arrivo in Italia, fino a quando iniziano e avviano il loro viaggio verso una piena integrazione con il tessuto sociale locale. 

Dottoressa Regazzo, cosa accade quando queste persone giungono nel nostro Paese?

“Innanzitutto fanno un passaggio presso gli hub dislocati sul territorio e successivamente vengono assegnati ai centri di accoglienza straordinaria. Nel corso di questo periodo la prefettura chiede agli enti erogatori del servizio che vengano affrontati alcuni temi fondamentali per la valutazione della richiesta di asilo della persona. C’è dunque una fase che è legata alla sorveglianza sanitaria, alla presa in carico giuridica, all’insegnamento della lingua italiana e al supporto psicologico. Si tratta di una risposta ai bisogni di base della persona che successivamente fa accesso alla commissione, fase nella quale viene riconosciuto o meno il diritto a stare nel nostro Paese”. 

Che cosa prevede l’asilo politico?

“Innanzitutto la permanenza in Italia e la possibilità di continuare a vivere nel centro accoglienza straordinaria. Il passo successivo è il percorso di integrazione completa e qualificata con il sistema accoglienza integrazione alla persona ( SAI). Si tratta di un passaggio molto importante in quanto è indispensabile che una persona che arriva da un realtà anche culturale molto diversa abbia l’opportunità di inserirsi totalmente nella comunità di riferimento e per farlo ha bisogno di alcune specifiche autonomie, in primis l’indipendenza economica che può essere raggiunta solamente trovando un lavoro”. 

Che bisogni hanno queste persone?

“Innanzitutto di sentire che nel luogo in cui sono stati accolti sono protetti e che c’è qualcuno che si farà carico delle loro necessità. Hanno bisogno di un luogo dove vivere, di avere del cibo e di imparare la lingua. A seconda poi del luogo di partenza e della motivazione di questo arrivo, ognuno di loro porta con sé delle richieste ben precise. Nel caso per esempio di un afghano o di un ucraino che sta scappando da una guerra la prima esigenza è quella di avere la sicurezza che nessuno potrà mettere a repentaglio la loro vita”.

Che speranze portano con sé?

“Ognuno di loro ha una storia, fatta di tante catene che hanno reso la loro esistenza difficile e, in alcuni casi anche in serio pericolo. Il denominatore comune di tutti è il forte desiderio di ricostruirsi una nuova vita, dove la loro dignità non sia calpestata e in cui siano riconosciuti i diritti umani. Il loro è un percorso di sofferenza, di distacco, di rinunce, e noi che viviamo in una realtà lontana anni luce abbiamo l’obbligo di comprenderli e di aiutarli a superare i traumi della loro vita”.