GOLPE IN TURCHIA: ERDOGAN CHIEDE LA TESTA DI 1.500 RETTORI

Prosegue il giro di vite di Recepp Tayyip Erdogan contro gli oppositori interni, considerati responsabili del tentato golpe andato in scena tra il 15 e il 16 luglio. Dopo esercito e magistratura a finire nel mirino del “sultano” è il mondo universitario. il presidente turco ha chiesto le dimissioni di 1.577 rettori. Tra questi 1.176 sono di atenei pubblici e il resto di fondazioni universitarie. Il ministero dell’Educazione turco ha revocato la licenza d’insegnamento a 21 mila docenti che lavorano in scuole private, molte delle quali sono ritenute vicine alla rete di Fethullah Gulen, accusato da Ankara di essere dietro il fallito golpe.

Sono 9.322 – secondo quanto riferito dal vicepremier e portavoce del governo di Ankara, Numan Kurtulmus – le persone arrestate finora con l’accusa di complicità nel fallito colpo di Stato. Non solo. Il ministero dell’Educazione turco ha annunciato di aver sospeso 15.200 dipendenti per sospetti legami con la rete che fa capo a Gulen. La Presidenza turca per gli Affari religiosi (Diyanet), massima autorità islamica che dipende dallo Stato, ha annunciato di aver allontanato 492 dipendenti – tra cui imam e docenti di religione – per il sospetto di legami con la rete di Gulen.

Ma secondo i suoi sostenitori non sarebbe l’arcirivale di Erdogan la mente del tentato golpe. “Basta guardare i nomi di molti degli ufficiali arrestati, che lo hanno combattuto per tutta la loro carriera” spiega all’Ansa Abdullah Bozkurt, ex caporedattore ad Ankara e tra le voci più influenti di Zaman, il quotidiano legato a Gulen che era il più diffuso in Turchia e a marzo è stato sequestrato dalle autorità.

“Le purghe stanno colpendo militari, professori, giornalisti, giudici – prosegue -. Neanche dopo i golpe riusciti in passato ci sono mai state epurazioni così grandi. Un terzo degli ufficiali sono stati arrestati, tra cui molte figure non legate a Gulen. E poi, finora il governo ha lanciato accuse, ma non abbiamo visto nessuna prova”. Per Bozkurt “le liste di proscrizione erano già pronte prima del golpe, altrimenti non si spiega come si possano cacciare e arrestare migliaia di persone in poche ore”. Ma l’idea del “putsch fatto in casa”, suggerita da qualcuno per spiegarne le falle, non lo convince: “Sono accuse che meritano certamente un’indagine accurata, ma io credo che possa aver agito una fazione dell’esercito che non è riuscita a ottenere la benedizione dei vertici, con un mix di diversi background ma un denominatore comune: l’opposizione alle politiche del governo e alla gestione del potere di Erdogan. Del resto, lo hanno dichiarato anche nel messaggio letto alla tv di Stato”.