Disabilità e relazioni sociali: è necessario scardinare i pregiudizi

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Nel dicembre 2006 l’Assemblea delle Nazioni Unite approvò la Convenzione per i diritti delle persone con disabilità composta da cinquanta articoli i quali intesero assurgere alla funzione di guida normativa per i diversi Stati al fine di garantire l’inclusione sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini con disabilità, il Parlamento Italiano ratificò la sopracitata Convenzione il 24 febbraio 2009, la quale divenne così una legge dello Stato. In particolare, tra i vari e fondamentali articoli, l’articolo 8 denominato accrescimento della consapevolezza che sancisce un principio fondamentale e imprescindibile che di seguito enumero brevemente: Sensibilizzare la società nel suo insieme, anche a livello familiare, sulla situazione delle persone con disabilità; combattere gli stereotipi, i pregiudizi e le pratiche dannose concernenti le persone con disabilità, compresi quelli fondati sul sesso e l’età, in tutti gli ambiti; promuovere la consapevolezza delle capacità e i contributi delle persone con disabilità.”

Fatta questa importante premessa normativa e concettuale, al fine di rendere maggiormente fattivi i principi di inclusione e sensibilizzazione sopracitati è fondamentale parlare di una tematica che è la conditio sine qua non al fine di meglio comprendere l’inclusione e correlata alla disabilità, ossia il tema delle relazioni sociali declinato in ogni sua possibile forma.

L’identità sociale delle persone con disabilità e la conseguente rete di relazioni ha subito numerose modifiche nel corso dei secoli, a titolo esemplificativo si forniscono le principali visioni che si sono susseguite nel corso dei secoli: nella civiltà greco – romana la condizione della persona disabile veniva vista come un castigo degli dei, nel medioevo invece codesta condizione veniva vista come una espressione di forze diaboliche ed oscure, nel Rinascimento la persona con disabilità veniva vista come un giullare di corte le cui menomazioni possono provocare ilarità, nel 800 altresì la disabilità viene vista come una condizione incurabile e, negli anni 30, in Germania, con l’avvento del nazismo, si affermò la teoria disumana secondo cui la persona affetta da disabilità non merita di vivere. Giungendo ai giorni nostri, in particolare a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, la percezione sociale delle persone con disabilità è mutata radicalmente, sostanzialmente grazie alle nuove leggi promulgate a partire da quel frangente storico la persona con disabilità è divenuta un soggetto portatore di diritti a differenza delle epoche precedenti nelle quali la disabilità era vista come un mero oggetto di cui occuparsi in senso prevalentemente pietistico. Alla luce di questa breve disanima concernente la concezione sociale delle persone con disabilità nelle diverse epoche è utile puntualizzare che, la stessa, nonostante l’evoluzione positiva, ha contribuito e contribuisce tutt’oggi a mutare – talvolta in senso negativo – i rapporti sociali delle persone con disabilità.

La vita delle persone con disabilità è volente o nolente influenzata – sia in positivo che in negativo – dalla rispettiva patologia invalidante che influisce su qualsiasi forma di relazione nel corso della vita, nel contesto famigliare ad esempio – sopratutto appena la disabilità compare – per un istinto di protezione a volte si ha la tendenza ad essere eccessivamente protettivi nei confronti della persona con disabilità per evitare che la stessa, nei primi contatti con la socialità extra famigliare possa subire ulteriori traumi dettati dalla scarsa conoscenza della disabilità. In seconda istanza, per quanto concerne le relazioni con il cosiddetto gruppo dei pari nel corso dell’età evolutiva si possono verificare alcuni episodi di stigmatizzazione nei confronti della persona con disabilità, dettati dalla scarsa conoscenza delle varie condizioni invalidanti; ciò in alcuni casi permane dopo la conclusione del ciclo di studi ove – sovente – le persone con gravi disabilità vedono restringere l’ambito di espressione della propria personalità in ambito sociale in concomitanza con l’accesso dei propri coetanei nel mondo del lavoro o in ambito universitario. In ultima istanza – talvolta – le persone con disabilità riscontrano alcune difficoltà nella vita sentimentale dettate dalla sporadica percezione della persona con disabilità come un soggetto eccessivamente condizionato dalla propria patologia e, a volte, non rispondente ai canoni di bellezza dettati dall’epoca in cui viviamo che purtroppo sovente sono connotati da una forma di nichilismo che si limita a considerare l’aspetto esteriore delle persone tenendo in scarsa considerazione l’anima e il cuore.

In conclusione, alla luce di quanto precedentemente esemplificato, è un imperativo morale per la nostra società eliminare ogni forma di stigmatizzazione e pregiudizio residuo nei confronti delle persone con disabilità e far si che le stesse possano esprimere le loro potenzialità emotive e relazionali senza alcun fattore ostativo; per compiere questo importante passo è di vitale importanza agire sia dal punto di vista normativo attraverso una piena attuazione dei principi normativi contenuti nelle leggi promulgate in tal senso a partire dagli anni ‘70 fino ai giorni nostri, ma, anche e soprattutto, attraverso una proficua opera di sensibilizzazione ed educazione delle persone finalizzata ad una maggiore conoscenza della disabilità che permetta di scardinare i pregiudizi residui in materia senza fermarsi alla vuota esteriorità ma considerando primariamente le incommensurabili doti ed attitudini emotive delle persone con disabilità, le quali facendo i conti ogni giorno con una condizione difficile, sono e saranno in grado – se messi nelle condizioni di esprimersi pienamente – di assurgere ad un pieno inserimento nella vita lavorativa e sociale rendendola migliore attraverso un notevole apporto morale e materiale e per fare ciò è fondamentale l’apporto di tutti, a tal proposito mi permetto di citare – indegnamente – una bellissima frase di Madre Teresa di Calcutta: “Quel che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.