1983-2023: 40 anni dal Giubileo straordinario della redenzione

Tra un anno e mezzo arriveranno a Roma decine di milioni di pellegrini per l'Anno Santo. Il segno di continuità con le celebrazioni giubilari ordinarie e straordinarie

Giubileo

Il Giubileo non riguarda solo il Vaticano e la Chiesa Cattolica. E’ un’occasione di crescita e confronto per l’umanità, chiamata a riflettere su se stessa e sulla necessità di condivisione e fraternità in un’epoca sempre più globalizzata e interconnessa. 1983-2023: quarant’anni dal Giubileo straordinario della redenzione. L’anno Santo indetto nel 1950º anniversario della morte e resurrezione di Cristo (33). Il Giubileo, detto anche Anno Santo, è il periodo speciale della remissione dei peccati, della riconciliazione e della conversione. Esso può essere ordinario e straordinario. “Quello ordinario è legato a scadenze prestabilite. Mentre quello straordinario viene indetto in occasione di qualche avvenimento di particolare importanza. E la sua durata varia da pochi giorni ad un anno– ricostruisce Famiglia Cristiana-. La consuetudine di indire Giubilei straordinari risale al XVI secolo. Gli ultimi Anni Santi straordinari del XX secolo sono stati quelli del 1933, indetto da Pio XI per il diciannovesimo centenario della redenzione, e del 1983, indetto da Giovanni Paolo II per i 1950 anni della Redenzione”. Karol Wojtyla lo inaugurò con la bolla Aperite portas Redemptori il 25 marzo 1983. Obiettivo: sottolineare la centralità del mistero della Redenzione come motore della fede e aprire solennemente il cammino della Chiesa verso il Grande Giubileo del 2000. L’anno giubilare fu esteso a tutte le diocesi del mondo. E mentre a San Pietro si apriva la Porta Santa, in tutte le cattedrali del mondo veniva celebrato uno speciale rito di penitenza e di preghiera.Giubileo

Il segno del Giubileo

“La pratica dei giubilei straordinari, proclamati per ottenere uno speciale aiuto divino in momenti difficili o delicati della Chiesa universale o delle Chiese locali, oppure in occasioni di particolare solennità come l’inizio di un pontificato, è antica- evidenzia il settimanale dei Paolini-. Risale almeno al XVI secolo. I giubilei straordinari si celebrano in alcune località. Per esempio a Santiago de Compostela negli anni in cui il 25 luglio, festa di San Giacomo apostolo, cade di domenica”. L’Anno Santo straordinario del 1983 esprime il carisma del Pontefice arrivato da oltre cortina in piena guerra fredda. “Fu subito chiaro che Giovanni Paolo II sarebbe stato un Papa inconsueto. Inevitabilmente insolito rispetto ai suoi predecessori– spiega In Terris il decano dei vaticanisti Gian Franco Svidercoschi. Già vicedirettore dell’Osservatore Romano e stretto collaboratore di Karol Wojtyla. Insolito non soltanto, come un po’ tutti all’inizio pensavano, perché era il primo Papa non italiano dopo quattro secoli e mezzo. Un dato che già di per sé avrebbe comportato ovviamente dei cambiamenti. Sia sul piano istituzionale. Sia sul piano pastorale e culturale. “Sarebbe stato un Papa diverso, soprattutto a motivo delle sue stesse origini. delle sue esperienze. Della sua formazione umana e cristiana“, puntualizza Svidercoschi.Giubileo

Contro i totalitarismi

“Karol Wojtyla aveva vissuto in prima persona la Seconda guerra mondiale. E i due totalitarismi che ne avevano rappresentato le maggiori ideologie- sostiene Svidercoschi-. n qualche modo, aveva vissuto da vicino anche la mostruosa vicenda della Shoah. Tanti suoi amici e compagni di scuola erano scomparsi nei campi di sterminio nazisti. Naturale, percio, che Giovanni Paolo II fosse portatore di un’altra visione del mondo e della storia. Cosi come fosse portatore di una concezione, altrettanto speciale, circa il modo di intendere il messaggio di Cristo, di viverlo, e di testimoniarlo nella quotidianità della vita“. Era nato in una Polonia libera, Karol. Aveva solo nove anni quando aveva perduto la mamma. Più tardi la ricorderà con una bellissima poesia. “Sulla tua bianca tomba/ sbocciano i fiori bianchi della vita./ Oh quanti anni sono gia spariti/ senza di te”. Il padre, un ex ufficiale in pensione, era stato straordinario nel “supplire” a quella assenza. Poi, la scuola. Il teatro, grande passione, grande futuro. L’università. E, improvvisamente, il buio. Un buio spaventoso, totale. Quel giorno, 1° settembre del 1939, “non si cancellerà più dalla mia memoria“, aveva confessato.Giubileo

Spinta alla decisione

“Karol era fuggito con il padre dai nazisti che avanzavano a Ovest. Ma, dopo aver percorso a piedi duecento chilometri, era stato costretto a invertire il cammino- racconta Svidercoschi-. Perché a Est le truppe sovietiche stavano entrando in Polonia. Il giovane Wojtyla aveva vissuto sulla sua pelle il famigerato patto Molotov-Ribbentrop, Germania e Urss ancora insieme, per spartirsi quel Paese. Karol quindi era tornato a Cracovia. Però, chiusa l’università, ridotto il teatro alla clandestinità, aveva dovuto cercarsi un lavoro, in una cava di marmo. Per non finire in un campo di concentramento. Anche se aveva rischiato di andarci lo stesso, il giorno in cui il governatore generale aveva ordinato una retata in tutta la città. E ancora una tragedia, ancora un lutto personale, la morte del padre. E da qui, forse, un’ulteriore spinta alla decisione che Karol comunque aveva già nel cuore, quella di farsi prete. Era finita la guerra, e lui, ricevuta l’ordinazione sacerdotale, era andato a Roma per un paio di anni a completare gli studi”. Quando era tornato, aveva trovato la sua patria soggiogata a un altro regime. Erano cambiate le divise, ma non l’ideologia persecutoria“. Giubileo

Uscire allo scoperto

Karol Wojtyla aveva partecipato al Concilio, era diventato cardinale. Ma intanto, in Polonia, la situazione si era aggravata. E l’arcivescovo di Cracovia non aveva potuto più mantenere la linea di moderazione. E di interventi solo spirituali, che si era imposto. Quindi, era uscito allo scoperto, ogni giorno di più. Per difendere perseguitati e oppressi. Per far rispettare la libertà di culto. Per proteggere i movimenti giovanili. Per garantire la costruzione di nuove chiese, come quella di Nowa Huta. Per tutto questo, era diventato il nemico numero uno del regime. Controllato. Pedinato. Spiato. E minacciato fino all’ultimo, alla partenza per Roma, dove avrebbe partecipato al Conclave per la successione di papa Luciani. Gli avevano già sequestrato il passaporto diplomatico, lasciandogli solo quello turistico. E uno dei segretari provinciali del partito comunista gli aveva detto: “Vada, vada, al suo ritorno faremo i conti…”. L’arcivescovo sarebbe tornato, ma vestito di bianco. Dunque, un Papa che portava con sé, su di sé, il retaggio di una storia tragica. La vastità e la spietatezza del tentativo, prima del nazismo e poi del marxismo, di annientare l’uomo del XX secolo, privandolo della libertà. Negandone la dignità, fino a espropriarlo della sua stessa anima. E da lì, appunto, era scaturita quella “scelta per l’uomo” che avrebbe marcato a fuoco la vita e la missione di Wojtyla. L’uomo in quanto immagine del suo Creatore. E dunque depositario di diritti inalienabili, inviolabili.Giubileo

Misticismo

“Era un Papa diverso, inevitabilmente diverso. Perché portatore di un’altra religiosità. Ossia quella slava, segnata da un forte misticismo e, insieme, da un forte impegno sociale e culturale– osserva Svidercoschi-. E queste ricchezze spirituali – a rappresentare un’altra grande novità– entravano di diritto nella vita della Chiesa universale. Aprendola così a una pluralità di carismi, di modi di vivere la fede, di esperienze pastorali e missionarie. Karol Wojtyla aveva avuto una formazione cristiana molto particolare. Sua madre aveva fatto in tempo a insegnargli a farsi il segno della croce, a pregare. Ma poi erano stati due uomini, due laici, a forgiarlo nella fede. Il padre, naturalmente. E un personaggio straordinario, conosciuto per caso, Jan Tyranowski, sarto e catechista“. Passavano gli anni e, attraverso molteplici esperienze, cementata in mezzo alle sofferenze e alle tragedie della Polonia, era maturata via via la vocazione sacerdotale.Ma anch’essa in un modo che non era quello consueto, ordinario. Il regime comunista aveva chiuso i seminari e imposto ai vescovi di non accogliere più candidati. Così che Karol aveva cominciato a frequentare di nascosto i corsi di teologia. Continuava a lavorare alla cava, aiutava l’operaio che faceva saltare le mine, e poi a casa studiava da solo. E, sempre sostanzialmente da solo, aveva portato a termine il suo percorso spirituale, nell’avvicinamento all’Assoluto.pace

Scuola di Giubileo

“Anche dopo, negli anni successivi, il suo essere ministro di Dio, da sacerdote e da vescovo, aveva sempre avuto connotazioni singolari, speciali. Un andare avanti con dentro la forza della fede, senza paure, spesso controcorrente– rievoca Svidercoschi-. Come quando c’era stato l’incontro con i giovani. Le nuove generazioni avevano subito percepito che quel prete non era come tanti altri. Parlava di Dio, della religione, della Chiesa. Ma anche dei loro problemi esistenziali. Cioè l’amore, il lavoro, il matrimonio. E Karol, a sua volta, aveva scoperto il valore profondo della giovinezza. Che è un periodo di costruzione, di progettazione. Ma anche di ricerca di risposte autentiche agli interrogativi sulla vita”. Per cui, volendo mantenere costanti i fili di quel dialogo. E non lasciare i ragazzi in balia delle false lusinghe marxiste, si portava ragazzi e ragazze in campeggio. L’”apostolato dell’escursione”, lo aveva chiamato. Più avanti, da vescovo, aveva frequentato la grande “fucina” del Concilio Vaticano II. Una scuola per il Giubileo.