“Non è umano chi discrimina per razza, religione o cultura”

Chi non si identifica con il fratello sofferente, “anche se è diverso da lui per razza, per religione, ‎per lingua o per cultura”, deve interrogarsi sulla sincerità della sua fede e sulla sua ‎umanità. E' quanto afferma il Papa nel corso dell’Udienza Generale del mercoledì, svoltasi nell'Aula Paolo VI, in Vaticano. Bergoglio torna con la memoria al suo recente viaggio in Myanmar e Bangladesh soffermandosi sull'incontro con i rifugiati Rohingya dal quale è stato molto toccato. Ricorda che ha ‎chiesto loro il perdono “per le nostre mancanze e per il nostro silenzio, ‎chiedendo alla comunità internazionale “di aiutarli e di soccorrere tutti i gruppi ‎oppressi e perseguitati presenti nel mondo”.

Oltre le differenze

Come riporta la Radio Vaticana, nella catechesi si sofferma sull’incontro con queste popolazioni affluite “in massa” in Bangladesh, in un territorio peraltro “dove la densità di popolazione è già tra le più alte del mondo”. Dopo i ringraziamenti alle autorità e ai vescovi dei due Paesi asiatici per l’invito a visitarli, Francesco sottolinea la prima visita di un Papa in Myanmar, grazie alle relazioni diplomatiche stabilite. Quindi pensa alla popolazione locale che “ha sofferto a causa di conflitti e repressioni, e che ora sta lentamente camminando verso una nuova condizione di libertà e di pace”. Tra questa gente la religione buddista è “fortemente radicata” e i cristiani sono un “piccolo gregge”: quella Chiesa “viva e fervente” che il Pontefice ha confermato “nella fede e nella comunione” incontrando i vescovi e i fedeli in due celebrazioni eucaristiche. Una è stata occasione di sottolineare che “le persecuzioni a causa della fede in Gesù sono normali per i suoi discepoli, come occasione di testimonianza, ma che ‘nemmeno un loro capello andrà perduto’”. L’altra è stata dedicata ai giovani: “Nei volti di quei giovani, pieni di gioia, ho visto il futuro dell’Asia: un futuro che sarà non di chi costruisce armi, ma di chi semina fraternità”.

In nome della pace

Quindi Francesco rivive la benedizione delle prime pietre di 16 chiese, del seminario e della nunziatura, per poi passare all’incontro con le autorità del Myanmar e all’incoraggiamento per “sforzi di pacificazione”, auspicando che “tutte le diverse componenti della nazione, nessuna esclusa, possano cooperare a tale processo nel rispetto reciproco”. Del saluto ai rappresentanti delle diverse comunità religiose, il Papa ricorda quello al Supremo Consiglio dei monaci buddisti, la “stima” della Chiesa per la loro antica tradizione spirituale e la fiducia “che cristiani e buddisti possano insieme aiutare le persone ad amare Dio e il prossimo, rigettando ogni violenza e opponendosi al male con il bene”.

La felicità per le vocazioni

Ricorda poi il trasferimento in Bangladesh, dove “la popolazione è in grandissima parte di religione musulmana“. Qui la sua visita ha segnato un “ulteriore passo in favore del rispetto e del dialogo tra il cristianesimo e l’islam”. D’altra parte, prosegue, la Santa Sede ha sostenuto “fin dall’inizio” la volontà del popolo bengalese di costituirsi come nazione indipendente, come pure l’esigenza che in essa sia “sempre tutelata la libertà religiosa”. Il suo pensiero va alla Messa celebrata a Dhaka con l’ordinazione di sedici sacerdoti, uno degli eventi – assicura – “più significativi e gioiosi del viaggio”. E ringrazia Dio, aggiunge, perché in quelle zone d’Asia “le vocazioni non mancano, segno di comunità vive, dove risuona la voce del Signore che chiama a seguirlo”. Dell'incontro i vescovi del Bangladesh ricorda l'ncoraggiamento “nel loro generoso lavoro per le famiglie, per i poveri, per l’educazione, per il dialogo e la pace sociale”, come pure religiosi e consacrati del Paese, assieme ai seminaristi, novizie e novizi, “germogli della Chiesa”.

Gli incontri interreligiosi

Francesco non dimentica il “momento forte di dialogo interreligioso ed ecumenico” a Dacca, segno di “apertura del cuore come base della cultura dell’incontro, dell’armonia e della pace”. Un pensiero speciale va alla “Casa Madre Teresa”, dove la santa alloggiava quando si trovava a Dhaka, che accoglie orfani e persone con disabilità. “Là, secondo il loro carisma, le suore vivono ogni giorno la preghiera di adorazione e il servizio a Cristo povero e sofferente. E mai, mai manca sulle loro labbra il sorriso: suore che pregano tanto, che servono i sofferenti e continuamente con il sorriso. E’ una bella testimonianza. Ringrazio tanto queste suorine”.

Il futuro del Bangladesh

Quindi il pensiero finale per i giovani bengalesi, di cui ricorda specialmente le danze. “Sanno danzare bene! Una festa che ha manifestato la gioia del Vangelo accolto da quella cultura; una gioia fecondata dai sacrifici di tanti missionari, di tanti catechisti e genitori cristiani. All’incontro erano presenti anche giovani musulmani e di altre religioni: un segno di speranza per il Bangladesh, per l’Asia e per il mondo intero”.