Ragazze sempre più sole nelle università giapponesi

U na band musicale femminile, le AKB48, molto popolare in Giappone, canta: “Mentre vado a scuola, essere stupide va bene”: una frase che denuncia un fenomeno diffuso nel Paese: la disuguaglianza di genere nell'alta formazione, soprattutto universitaria. Un reportage del New York Times svela il paradosso di una Paese fra i più avanzati dal punto di vista tecnologico, ma anche fra quelli in cui i disagi sociali propri di una “cultura dello scarto” sono dietro l'angolo. Il governo è pienamente consapevole degli sforzi da compiere: il premier Shinzo Abe ha da poco stilato un'agenda che incentive l'ingresso delle donne ad alti livelli.

L'Università di Tokyo

Nel discorso di inaugurazione alle matricole della Todai, la prestigiosa Università di Tokyo, Chuizuko Ueno, docente universitaria ora in pensione, ha sottolineato questo “sbilanciamento” come un “sintomo di disuguaglianza che va oltre la formazione ai più alti livelli”. La docente è stata accusata di favorire una “propaganda femminista”, ma secondo la commissione universitaria deputata all'uguaglianza di genere, la verità è un altra. Nello stesso discorso, Ueno ha ricordato lo scandalo che ha coinvolto la Facoltà di Medicina dell'Università di Tokyo, dove negli anni passati la presenza di donne medico sarebbe stata mantenuta al 30% per via del fatto che le donne tenderebbero ad assentarsi per matrimoni o maternità. 

Sempre più studenti

All'Università di Tokyo, più di un quarto degli studenti iscritti nel 2019 proviene da dieci scuole superiori, sette delle quali maschili. Malgrado le donne rappresentino la metà della popolazione di Tokyo, soltanto il 20% di esse accede all'Università. Cifre considerevoli, che tengono conto di un gap evidente, che è soprattutto culturale. Nella società giapponese, l'ambizione di una donna spesso è relegata al focolare domestico. I I laureati dell'Univeristà di Tokyo, comparata per formazione ad istituzioni come Harvard o l'M.I.T., si affermano come politici ad alti livelli e molti di loro sono stati in corsa per il Premio Nobel. Per questo, nelle famiglie è spesso radicata la paura che una donna non sia pronta a misurarsi con un mondo professionale competitivo e iper-maschile. È per tale motivo che la stessa Università s'impegna in una policy sempre più orientata all'inclusione sociale, anche attraverso sussidi. Solo quest'anno, l'ateneo nipponico ha distribuito una borsa di studio di 30.000 yen mensili – circa 250 euro – a cento studentesse. Questo non ha fermato le critiche di chi vi scruta una discriminazione nei confronti degli uomini.

Poche laureate

“La verità è che le nostre università sono come negozi che non hanno abbastanza clienti” ha dichiarato al quotidiano statunitense Akiko Kumada, una delle poche docenti di ingegneria dell'Univeristà do Tokyo, in prima linea per favorire l'inclusione delle donne nell'alta formazione. Il New York Times riporta che, negli ultimi vent'anni, le iscrizioni femminili all'Università di Tokyo sono rimaste stabili attorno al 20%: una costante che si riflette in molte università prestigiose del Pese: in sette università pubbliche, solo un quarto delle donne riesce a laurearsi. Nelle università private di Keio e Waseda, invece, le donne rappresentano circa un terzo degli studenti.

Dentro il campus 

Per molte studentesse, la vita universitaria non è facile. Non tutte denunciano, ma preferiscono adattarsi allo status quo del campus. Chi parla, però, avverte un isolamento, talune denunciano episodi di micro-razzismo nei campus, come battute a sfondo sessuale. Kiri Sugimoto è una studentessa di legge di 24 anni. Quando ha preso parte alla foto del corso, era l'unica ragazza in una classe di soli uomini: “Erano entusiasti. Mi trattavano come una rosa decorativa tra le pietre” ha dichiarato rattrsitata. E se alcuni studenti non avvertono necessariamente questa disparità come un problema, spesso c'è una tendenza al cameratismo e a socializzare meno le donne “perché poco affascinanti”: “Devi reggere al gioco, spesso, ed accettare il loro punto di vista maschile” ha detto una di loro.