La verità e un optional, “post truth” è la parola dell’anno

Post verità“, cioè la tendenza a considerare più credibili i contenuti virali pubblicati sui social network rispetto a quelli riportati dai media tradizionali. E’ questa la parola dell’anno secondo la Oxford University che ha inserito il neologismo nel suo dizionario.

La verità, insomma, è una variabile indipendente, non più un dato oggettivo. Un trend che, se sfruttato a dovere, porta innumerevoli vantaggi a chi sa cavalcare la rete. A partire da quei leader politici che sul web hanno costruito il proprio successo, diventando il punto di riferimento di chi fa leva sulla paura per diffondere false notizie. Decisive, per la scelta di Oxford, sono state la vittoria di Brexit e quella di Donald Trump, avvenute, secondo il ragionamento dell’ateneo proprio sull’onda della “post-truth”.

L’espressione descrive, quindi, l’atteggiamento non solo e non tanto di chi dice il falso, ma di chi considera alla stregua di un optional la differenza tra ciò che è vero e ciò che non lo è: spacciando indifferentemente argomenti sensati o meno – senza darsi pena di consentire una verifica – a seconda dei propri fini e dei propri interessi del momento. Il concetto è stato richiamato a più riprese nel corso della campagna referendaria per la Brexit, alimentata dalla diffusione di paure e cifre talora palesemente inverosimili. E ancor più durante la battaglia senza esclusione di colpi che ha permesso oltre Oceano a Trump di sconfiggere Hillary Clinton, in barba all’establishment e alle previsioni, nella corsa alla Casa Bianca. Ora ha fatto breccia anche fra i custodi della lingua che presiedono alla cura dei dizionari di Oxford.

Post-truth“, riporta la Bbc, ha prevalso in una short list finale che comprendeva fra l’altro “brexiteer” (sostenitore della Brexit). Si tratta del resto, ha sentenziato Casper Grathwohl, uno dei componenti della commissione oxfordiana, “di una di quelle parole che potrebbero definire il nostro tempo”.

Va detto tuttavia che l’espressione non è esattamente contemporanea. A coniarla, sebbene con un significato un po’ diverso, pare sia stato 25 anni orsono lo scrittore e sceneggiatore serbo naturalizzato statunitense Steve Tesich. Una conferma del fatto che in fondo il fenomeno precede l’uso che – nello scandalo della cultura, della politica e dei media mainstream – ne hanno fatto outsider alla Trump o alla Nigel Farage: approfittando, nel mondo virtuale del web, dell’eco planetaria indistinta di social network e affini. Le radici sono forse in concetti d’uso ormai corrente (ma un tempo impensabili) come “guerra umanitaria”, “esportazione della democrazia” o “giornalisti embedded”: figli d’una neolingua orwelliana a cui la post-verità rende adesso l’ultimo omaggio. Il ministero della Verità esiste.