Francesco in Giappone e Thailandia

Appena è stato ordinato sacerdote e nella Compagnia di Gesù, Jorge Mario Bergoglio voleva diventare missionario in Giappone. Era reduce da una malattia ai polmoni e per i suoi superiori non era il caso di fargli correre rischi alla salute. Cinquant’anni dopo il suo sogno sta per realizzarsi. La sala stampa vaticana ha reso noto il programma della visita apostolica di Papa Francesco in Thailandia e Giappone, che si terrà dal 19 al 26 novembre prossimi.

Discepoli missionari

“Un viaggio atteso, annunciato lo scorso 13 settembre, che prenderà il via martedì 19 novembre con la partenza dall’aeroporto di Fiumicino alla volta della Thailandia, la prima tappa, dove arriverà il giorno successivo, alle 12.30, e si fermerà fino al 23 novembre – riferisce Vatican news ll motto di questa parte del viaggio apostolico è “Discepoli di Cristo, discepoli missionari”, che richiama l’anniversario dei 350 anni dell’istituzione del vicariato apostolico di Siam, eretto nel 1669”. Dopo l’accoglienza ufficiale al Military Air Terminal 2 di Bangkok, il Papa si sposterà alla Government House, dove nel cortile ci sarà la cerimonia di benvenuto; in questo stesso palazzo, nella “Inner Ivory Room”, l’incontro con il primo ministro e, poi, nella Sala “Inner Santi Maitri”, il Papa pronuncerà un discorso incontrando le autorità, la società civile e il Corpo diplomatico. Nella stessa giornata il Papa farà visita al Patriarca Supremo dei Buddisti al Wat Ratchabophit Sathit Maha Simaram Temple, pronunciando un saluto. Sempre in mattinata, incontrerà il personale medico del St. Louis Hospital dove farà anche visita ai malati e alle persone disabili. Dopo il pranzo in nunziatura, si sposterà all’Amphorn Royal Palace per una visita privata a sua maestà il re Maha Vajiralongkorn “Rama X”. Ultimo impegno della giornata, la messa nello Stadio Nazionale. Il giorno successivo si aprirà con i discorsi, prima nella Parrocchia di San Pietro, a sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi e catechisti e poi, ai vescovi della Thailandia e della FABC nel Santuario del Beato Nicholas Boonkerd Kitbamrung. Quindi, in una sala adiacente il Santuario, avrà, come spesso avviene nei suoi viaggi, un incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù. Dopo il pranzo incontrerà i leader cristiani e di altre regioni a cui rivolgerà un discorso alla Chulalongkorn University e anche questa giornata si chiuderà con la Messa: la Celebrazione eucaristica con i giovani nella cattedrale dell’Assunzione.

Proteggere ogni vita

Dopo la cerimonia di congedo all’aeroporto di Bangkok, sabato 23 novembre, il Papa partirà per il Giappone dove si fermerà fino a martedì 26 novembre. “Proteggere ogni vita”, con la “t” nella parola “vita” a forma di croce, è il motto scelto per la visita, tratto dalla “Preghiera cristiana con il creato” che conclude l’Enciclica di Francesco Laudato si’. Arriverà alle ore 17.40 all’aeroporto di Tokyo-Haneda. Il primo appuntamento sarà l’incontro con i vescovi alla nunziatura ai quali rivolgerà un discorso. “La domenica sarà segnata dalle tappe di Nagasaki e Hiroshima- evidenzia Vatican news -. Nella prima città, dove arriverà in aereo da Tokyo, ci sarà il suo “Messaggio sulle armi nucleari” all'Atomic Bomb Hypocenter Park e un “Omaggio ai Santi Martiri” al Monumento dei Martiri Nishizaka Hill, con un suo saluto e la recita dell’Angelus. Dopo il pranzo in arcivescovado, la messa allo stadio di baseball”. Poi la partenza in aereo per Hiroshima dove rivolgerà un messaggio all’Incontro per la Pace al Memoriale della Pace. In serata, il rientro a Tokyo. Qui, il giorno successivo, incontrerà le vittime del triplice Disastro a “Bellesalle Hanzomon” e, dopo, farà una visita privata all’imperatore Naruhito al Palazzo imperiale.

Con i sacerdoti anziani e ammalati

Anche a Tokyo non mancherà di incontrare i giovani. A loro rivolgerà un discorso nella cattedrale di Santa Maria. Dopo il pranzo con il seguito in nunziatura, celebrerà la Messa nel Tokyo Dome e successivamente incontrerà il primo ministro e le autorità e il corpo diplomatico a Kantei. L’ultimo giorno del suo viaggio apostolico si aprirà con la messa in privato con i membri della Compagnia di Gesù nella Cappella del Kulturzentrum della Sophia University. Poi la prima colazione e l’incontro privato con il Collegio Massimo nella Sophia University, dove visiterà anche sacerdoti anziani e ammalati e poi terrà un discorso. A chiudere la giornata, la cerimonia di congedo all’aeroporto di Tokyo-Haneda e la partenza alle ore 11.35 per Roma dove arriverà alle 17.15.

Sulle orme di San Giovanni Paolo II

Francesco sarà il secondo Papa a visitare la Thailandia e il Giappone, dopo Karol Wojtyla (febbraio 1981). Alla tradizionale missione attraverso la parola, il “pontificato itinerante” di Giovanni Paolo II aggiunse, infatti,  quella della presenza. I viaggi internazionali consentirono a Karol Wojtyla una solidarietà più immediata, più visibile. “Per incidere sulla geopolitica contemporanea non basta l’anello del pescatore, serve l’aureola”, disse il giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II il cardinale Achille Silvestrini, prima ministro degli Esteri e poi prefetto delle Chiese Orientali durante il pontificato di Karol Wojtyla. E in effetti il Papa santo si rese presto conto che i consueti strumenti dell’autorità pontificia non erano più sufficienti per incidere sulla scena internazionale e trasformò le visite apostoliche in uno dei più importanti strumenti di governo della Chiesa. Tra i primi ad intuire l’importanza di un apostolato “globetrotter” fu Piero Gheddo, protagonista per mezzo secolo dell’animazione pastorale del Pime (il Pontificio istituto missioni estere) e tra gli estensori di “Ad Gentes”, il decreto del Concilio Vaticano II sull'attività missionaria della Chiesa. “Solo un Papa giramondo può portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra”, intuì padre Gheddo, grazie al quale nel 1973 l’Italia scoprì per la prima volta una religiosa con il sari bianco bordato di azzurro che poi diventò per tutti Madre Teresa di Calcutta. I viaggi di Karol Wojtyla incrociarono le frontiere ferite storico-sociali del suo tempo e la sua passione più grande restava l’annuncio del Vangelo. Nell’insegnamento di Giovanni Paolo II il punto centrale fu sempre Cristo, “Dio fatto uomo per salvare tutti gli uomini”. Nella prima enciclica Redemptor Hominis, presentò Cristo come “il centro del cosmo e della storia”, fondamento di ogni riflessione sulla Chiesa e sull’uomo.

Il senso del Magistero itinerante

Nel logo preparato per la visita in Estremo Oriente, Francesco vi appare sorridente e benedicente, mentre in basso vi è disegnata una barca, simbolo dell’evangelizzazione, sormontata da un albero a tre vele, che richiamano la Trinità. A sorreggere l’imbarcazione è la raffigurazione stilizzata della mano della Vergine Maria. Infine, una Croce dorata esorta tutta la Chiesa cattolica thailandese ad essere testimone della Buona Novella. Giovanni Paolo II si recò nel paese del Sol Levante nel febbraio 1981 per incoraggiare la Chiesa e i cristiani giapponesi nella loro missione, e per incontrare il popolo giapponese e la sua millenaria cultura. Come segno di amore e rispetto per il Giappone e il suo popolo per molti mesi Giovanni Paolo II si preparò a leggere la lingua nipponica: durante il viaggio (svoltosi dal 23 al 26 febbraio) pronunciò in giapponese 7 discorsi, dei quali uno dura più di 20 minuti. “Ma è anzitutto con la sua catechesi del cuore e con i suoi gesti che il pontefice colpisce i giapponesi: quando, ad esempio, all'incontro con i giovani invitato dalla nota cantante Agnese Chang improvvisa il girotondo con alcuni bambini; oppure durante la messa celebrata il 26 febbraio a Nagasaki, sotto una tormenta di neve, quando loda i martiri giapponesi paragonandoli ai “primi martiri dell'era cristiana”- ricostruisce Asianews-. Durante la sua visita Giovanni Paolo II ricorda alcuni missionari esemplari, come fratel Zeno Zebrowski, francescano conventuale polacco che arriva in Giappone nel 1930 con padre Massimiliano Kolbe. Nel corso del suo viaggio il pontefice rende omaggio anche al monumento che ricorda la bomba atomica di Hiroshima: “Ricordare Hiroshima” afferma il papa “è detestare la guerra nucleare e impegnarsi in prima persona per la pace. Preghiamo che il mondo non si affidi più ad armi di questo genere””. Nei suoi 27 anni di pontificato, Karol Wojtyla ha fatto più di 200 viaggi a Roma e in Italia e 105 viaggi internazionali, visitando 136 paesi, in molti dei quali è tornato più volte: 9 volte in Polonia, 8 in Francia, 7 negli Stati Uniti, 5 in Spagna e Messico, 4 in Portogallo, Brasile e Svizzera. E’ andato in tutti i paesi che poteva visitare. Impossibile andare in Cina, Russia, Vietnam e in altri paesi comunisti, in Arabia, Afghanistan, Iran e altri islamici. Perché viaggiava tanto? Rispose nell’enciclica “Redemptoris Missio” del 1990: “Già dall’inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell’urgenza di tale attività”. Si è calcolato che Giovanni Paolo II ha trascorso nei viaggi circa due anni dei suoi 27 di Pontificato. “Si diceva: viaggia troppo, spende troppo, fa troppi discorsi- osservò padre Gheddo-. Ma lo dice chi non ha visto da vicino cosa suscita una visita del Papa in termini di fede, di entusiasmo popolare, di speranza, di solidarietà fra gli uomini. Ho accompagnato il Papa in alcuni viaggi internazionali. Ricordo che in Messico (gennaio 1979), il governo laicista messicano aveva fatto il possibile per tenere la gente in casa: blocco dei trasporti, scuole e uffici aperti, trasmissioni televisive frequenti, raccomandazioni di non muoversi da casa, si prevedevano disordini. Quando Giovanni Paolo II arriva a Città del Messico, a riceverlo non c’é né il capo dello stato né il primo ministro, solo autorità minori”. Il viaggio del Papa in auto scoperta sulla superstrada da Città del Messico a Puebla (110 chilometri) avviene fra una muraglia umana calcolata dai 9 ai 10 milioni di persone e nei pochi giorni di permanenza nel paese un terzo dei messicani (20 su 56 milioni) sono riusciti a vederlo di persona. “In quei giorni si è manifestata la forza della religiosità popolare, che mandò in crisi l’ideologia laicista dello stato messicano- spiegò Gheddo- Ovunque andava c’era folla di gente che attendeva da ore per vederlo passare”.