Vittorio Podestà: “Il mio podio condiviso con Alex Zanardi”

Il racconto di una vita vissuta sempre in pieno, tra salite e discese. Vittorio non si è mai abbattuto, e anche dall'incidente è riuscito a rialzarsi più forte di prima fino a diventare campione paralimpico

Ingegnere civile e ciclista per passione, Vittorio Podestà classe 1973, originario di Chiavari, nel 2002 è vittima di un infortunio stradale tornando a casa dal lavoro. Da allora si dedica a tempo pieno all’handbike, con cui raggiunge molteplici successi. Nel 2006 entra nella Nazionale e due anni dopo vince un argento alle Paralimpiadi di Pechino. Dalla Paralimpiadi di Londra 2012 riporta a casa due bronzi e un argento a squadre. Interris.it lo ha intervistato per scoprire il dietro le quinte della vita di questo campione.

Com’è cambiata la tua vita dopo l’incidente?
“Io ho vissuto l’incidente come un evento della vita che ti mette davanti una grande sfida. Ho messo in atto subito un atteggiamento positivo, da subito ho deciso di usare dei mezzi per reagire. Ero già laureato in ingegneria e ho capito di avere la possibilità di poter fare un lavoro che non avesse particolare bisogno dell’uso delle gambe. Questo mi ha tranquillizzato. Poi nella mia storia c’era un bagaglio culturale affine allo sport abbastanza notevole. Infatti ho sempre praticato varie attività sportive e questa cosa mi ha dato la forza di andare oltre soprattutto quando sono uscito dall’ospedale. É stato in quel momento che grazie all’aiuto di un amico mi sono subito messo in gioco in un campo di basket. Ho scoperto un mondo fatto di mille possibilità, perché anche se da un’altra prospettiva mi sentivo libero di potermi divertire e poter avere quella valvola di sfogo che invece fino a poco prima trovavo nella bicicletta”.

 

Cosa ti è mancato di più dopo quel momento?
“Fu proprio la bicicletta a mancarmi nei primi mesi dopo l’incidente. Sapevo di non poterci più salire e pensare che non potevo più correre mi faceva star male. Poi un bel giorno grazie ad un altro amico ho scoperto l’hand bike. Mi sono innamorato subito di quel mezzo e poco dopo ho cominciato anche a mettermi in gioco facendo qualche gara. La spinta era duplice. C’era quella sportiva e competitiva, ma c’era anche il grande desiderio tecnico di migliorare e di metterci le mie capacità per migliorare questi mezzi, e così ho fatto. Di pari passo con la mia crescita sportiva cresceva anche la mia competenza tecnica. Sono diventato progettista delle componentistiche e dei mezzi veri e propri. In questo momento sul mercato c’è una hand bike italiana che ho progettato io, la carbide maddiline“.

 

Hai mai avuto la paura di non poter riprendere più in mano la tua vita?
“Non ho mai perso l’autostima. Pensa che ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie un mese dopo l’incidente, non ho mai neanche lontamante di non essere più un uomo valevole come prima. Sarà stato sicuramente il mio carattere positivo ad aiutarmi, ma devo ringraziare anche le tante persone in ospedale che nei primi mesi mi hanno affiancato in ospedale. Sono state proprio loro a ripetermi che non ero cambiato, la mia vita andava avanti e che avrei avuto lo stesso tante opportunità e infatti così è stato. Lo sport mi ha dato la consapevolezza che avrei potuto trascorrere tanti anni in un’attività che mi avrebbe dato la possibilità di sperimentarmi in un altro campo”.

Un incontro importante della tua vita è stato quello con Alex Zanardi, con lui hai condiviso tanto…
“Con Alex in tutti questi anni siamo praticamente diventati fratelli. Uno dei motivi per cui ho abbandontato la carriera è stato proprio perché le motivazioni ce le davamo a vicenda. Dopo il 2016 abbiamo conquistato tutto, anche i nostri sogni comuni che erano quelli di vincere insieme, vincere la medaglia d’oro sempre fianco a fianco. Dopo quell’anno abbiamo continuato ma perché ci piaceva farlo insieme. Dal momento che ha fatto l’incidente e ne ho capito la gravità, tutte le mie motivazioni sono venute meno. Sapevo che non avrei più potuto fare le olimpiadi con lui, nonostante le sue condizioni di salute siano migliorate, è realistico comunque non poter fare gareggiare il prossimo anno causa Covid. Ad ogni modo dal giorno dell’incidente di Alex ho deciso di lasciare e di dedicarmi alla famiglia anche perché nel frattempo mia figlia cresceva”.

Come ripartire quando si vive un momento così delicato?
“Tutto ciò che si è imparato prima è fondamentale, è importante non abbattersi e cercare tutto ciò che di utile si era fatto fino a quel momento. Dico ai ragazzi di non abbattersi perché come ce l’hanno fatta in tanti possono farcela anche loro. Noi siamo persone comuni non siamo super eroi e la cosa principale che devono pensare è che ne possono uscire fuori come ce l’hanno fatta tutti. C’è sempre qualcosa di inesplorato che possiamo scoprire. Proprio per questo negli anni ho deciso di diventare anche motivatore per gli altri. Infatti, ho deciso di portare la mia esperienza nelle scuole raccontando e raccontandomi ai ragazzi per lanciare un messaggio di speranza e positività nei confronti della vita, perché è sempre bella e vale sempre la pena viverla in qualsiasi modo vada vissuta. Il bello di questa seconda vita è che veramente è la mia vita, al cento per cento, nel senso che l’ho ritrasformata a mia immagine e somiglianza, gli ho dato l’impronta. Quella di prima era una bella vita, ma come tante, questa è la vita di Vittorio Podestà”.