Cosa si scoprirà dall'apertura dell'archivio di Pio XII

Sono passati 81 anni dall'elezione di Eugenio Pacelli al soglio pontificio con il nome di Pio XII e proprio oggi l'Archivio Apostolico Vaticano – non più “Segreto”, secondo le recenti diposizioni di Papa Francesco – apre agli studiosi una mole ingente di documenti riferibili al suo Pontificato, longevo se si pensa che durò ben 19 anni. L'esigenza di consentire ai ricercatori di consultare le carte è dovuta a vari motivi. In primis, una sorta di “operazione trasparenza”. Sin da quando era in vita, Pacelli fu sempre tacciato di essere stato un “Papa silenzioso“, soprattutto in merito alla posizione della Santa Sede di fronte all'Olocausto nazi-fascista. A Roma, il ghetto ebraico fu rastrellato, e molti si sono chiesti se il Pontefice, in virtù della sua capacità diplomatica rodata in anni di nunziatura e segreteria di Stato, avesse potuto fare di più. Il dubbio viene soprattutto se si compara l'azione pontificia di Pio XII con quella del suo predecessore: Papa Pio XI era, infatti, un uomo caratterialmente diverso da Pacelli, e questo si evidenzia soprattutto dal punto di vista politico. Papa Ratti fu l'autore delle famose encicliche contro i totalitarismi: se la Divini Redemptoris prendeva di mira la bestia rossa del comunismo, fu con la Mit brennender Sorge, scritta volutamente in tedesco, che Pio XI espresse la sua vicinanza a un episcopato tedesco stretto nella violenta morsa del nazismo, definito dal Pontefice “una deriva pagana” che annullava Dio. Sarà proprio Ratti a trasferirsi a Castel Gandolfo in occasione della visita di Adolf Hitler a Roma, sbarrando a lui le porte persino nei tanto agognati Musei Vaticani. Pio XII non ebbe il vigore di Ratti, ma per una questione puramente caratteriale. Sarebbe, infatti, scorretto definirlo – come fatto da alcuni storici soprattutto statunitensi – “il Papa di Hitler”. Pacelli condannò la deriva del nazismo, ma lo fece forse con una timidezza che tradiva la sua cautela nei confronti di quei Cattolici tedeschi che rischiavano di fare la stessa fine di centinaia di migliaia di Ebrei. 

Un passo verso la trasparenza

Per comprendere il significato storico, sociale ed ecclesiologico dell'apertura degli archivi del Pontificato di Pio XII, Interris.it ha intervistato la storica Emma Fattorini, ordinaria di Storia contemporanea all'Università La Sapienza di Roma, nonché esperta di storia della Chiesa contemporanea e del Pontificato di Pio XI. 

Professoressa, l'apertura dell'archivio di Papa Pio XII ci rivelerà qualcosa di inaspettato?
“Quest'apertura era attesa anche a seguito di tante questioni su un Pontificato che ha diviso molto sulle interpretazioni e sulle letture che si sono date del ruolo di Pacelli sia come nunzio che come Segretario di Stato, infine come Papa, soprattutto sul suo operato rispetto alla questione della Shoah e degli Ebrei, i cosiddetti 'silenzi'. Ci furono polemiche fino dai tempi coevi al suo esercizio e da allora non si sono mai placate”.

Un'apertura attesa, quindi? 
“L'apertura degli archivi in modo sistematico era molto attesa. Ci sono voluti tredici anni per mettere in ordine un materiale enorme. Sulla segretezza, poi, si sono fatte tante illazioni. La segretezza di per sé induce lo storico a interrogarsi sul perché non si possano vedere certe cose, mette sempre un alone di scivolosità. Questo Pontificato è molto lungo ed è il primo vero Pontificato globale e moderno. Pio XII sarà il primo Papa che farà uso dei primi media, la televisione, le immagini… il Primo Papa a cui si dedicherà un film. Lo farà con molta convinzione, affiderà ai radiomessaggi natalizi tanta parte delle sue politiche pastorali del suo Pontificato. La modernizzazione è uno dei due punti-chiave del suo Pontificato”.

E il secondo?
“È la globalizzazione, perché abbiamo un primo Papa che guarda al mondo con un'universalità agita davvero. C'è un mondo diviso in blocchi e il Pontificato seguirà la scelta di stare nell'area occidentale del Patto Atlantico e di sposare il grande investimento che gli Usa faranno nella ricostruzione europea con il Piano Marshall. Abbiamo visto documenti interessantissimi sulle forme di assistenza che il Vaticano imponeva per aiutare il popolo italiano nella ricostruzione, in uno spirito indicativo di radicamento sociale. Saranno famose le udienze che Pacelli farà a tante categorie lavorative”.

Pio XI e XII sono i due Papi a cavallo dell'ascesa Terzo Reich. Si può dire che ebbero due approcci diversi alla questione?
“Si tratta di due personalità diverse sul piano psicologico-caratteriale. Quella di Pacelli è una personalità molto portata alla mediazione e a uno spiccato senso diplomatico. Nell'agosto del 1917 fu lui a far passare la nota di Papa Benedetto XV alle potenze belligeranti, nota come il documento sull''inutile strage'. Poi Pacelli da papa assunse quando nell'estate del 39 fece tutti gli sforzi per fermare la guerra e però la declinò in una potentissima opera di assistenza. Pio XI invece aveva un carattere più sanguigno, forte, autoritario, più deciso e queste differenze si vedranno negli ultimi anni di vita del Pontefice il quale cominicia a capire che i totalitarismi d destra sono gravi inaccettabili almeno quanto il comunismo”.

Tant'è che Pio XI è il Papa delle encicliche Mit Brennender Sorge e della Non abbiamo bisogno
“Certamente. Nella primavera del '37, Pio XI fece tre encicliche: quella contro il nazismo, contro il comunismo e contro la rivoluzione messicana. C'è un'equidistanza strana nella condanna dei due regimi totalitaristi. Entrambi erano forieri di ateismo, ed entrambi sono condannati perché sostituiscono il paganesimo, ma nel nazismo si riscontrava una pericolosità maggiore, di divinizzazione totalitaria che aveva reso Pio XI furioso contro il nazismo perché tale divinizzazione era un tentativo di rubare il concetto di totalità alla Chiesa, l'unica depositaria di essa. Per questo, la sua reazione fu forte. Quando venne Hitler in Italia, nel maggio '38, il Pontefice se ne andò a Castel Gandolfo, fece chiudere tutte le Chiese e anche i Musei Vaticani, che erano un desiderio di Hitler. Tutte queste cose montarono in un crescendo fino alla condanna delle leggi razziali con un discorso che non ebbe mai luogo perché morì la notte stessa. Pio XII è stato accusato di silenzi fino al punto, infondato sul piano storico, di definirlo 'il Papa di Hitler'. Ma lui non ha avuto assolutamente compiacenza, semmai un atteggiamento più timido per la paura degli effetti delle sue parole sui Cattolici in Germania”.

Cosa si fa del ruolo del Vaticano durante il nazi-fascismo?
“Sappiamo del grande aiuto del Vaticano durante la persecuzione degli Ebrei a Roma, ai quali furono aperte le porte dei conventi. Ora non so se si troverà conferma che fosse stato il Papa stesso a dare quest'indicazione, ma sarebbe difficile sostenere il contrario, perché la sistematicità di questi aiuti fa pensare che dietro ci fosse un'indicazione centrale. Sicuramente ci fu un grandissimo impegno dell'aiuto agli Ebrei, fu una pagina bellissima del dialogo fra Cattolici ed Ebrei”.

Come questi documenti aiuteranno a capire il ruolo della Chiesa oggi?
“Questi documenti sono sicuramente utili alla storia della Chiesa. È, dunque, importante di non serbare segreti, perché la segretezza induce a fantasticare sulle colpe quasi sempre ingigantite. La trasparenza sarà utilissima. La quantità di materiale è enorme e fatto in modo molto moderno, informatizzato, anche nella seconda parte, quella dei Rapporti fra gli Stati. Non ci saranno verità sconvolgenti, perché nella storia non è mai un elemento, un documento, un fatto a determinarla: semmai un insieme di scelte. Sarà interessantissimo vedere tutti questi aspetti”.