Adolescenza di ritorno: il fenomeno dei moderni Peter Pan

Le cause e le conseguenze di un fenomeno che si manifesta sia negli uomini sia nelle donne: come comportarsi e come riconoscerlo

L’“adolescenza di ritorno” è la tendenza attuale e generalizzata, tipica della fascia di età adulta e matura (tra i 40 e i 60 anni circa), in cui sia l’uomo che la donna riproducono comportamenti fanciulleschi per riprendersi un’età non vissuta. Il fenomeno si evidenzia nei termini (chiamarsi “ragazzi” o “ragazze”), nei modi, nei gusti e nell’abbigliamento. Gli “over 40” temono di essersi persi qualcosa nel corso degli anni e di essere arrivati a una soglia in cui sia necessario intervenire, per non cadere nella trappola. Sospinti dal consumismo e dai social, assumono un atteggiamento che scimmiotta quello dei propri figli.

Saltano anche i rapporti nella famiglia, per cui il marito o la moglie sono considerati degli ostacoli (come una riproposizione dei propri genitori e dei loro divieti) a un nuovo di stile di vita che strizza gli occhi ai figli, considerati amici o quasi dei coetanei. La società contemporanea idealizza e valorizza solo la bellezza e la giovinezza, non contempla altre realtà e convince l’individuo a rifuggire, in tutti i modi, l’ingresso ad altre fasi evolutive, votate al fallimento e allo scacco.

Ne risente anche l’aspetto sentimentale che pone dei nuovi interrogativi e spinge al concetto di non dover rinunciare a nulla. L’interiorità e il sentimento divengono più rivedibili e transitori, in linea con la società liquida contemporanea. Si ama fanciullescamente, con le stesse tecniche e con il coinvolgimento piuttosto volubile, occasionale e altalenante, tra bassi e alti, tipico dei ragazzi.

Il fenomeno è conosciuto con una diversità di espressioni. Fra queste vi è la nota “crisi di mezza età”, in cui i 50enni iniziano a porsi un esame di coscienza e a trarre i primi bilanci sulla vita svolta. È il momento delle conclusioni, in cui si ha più tempo, dopo anni forsennati, per fermarsi a riflettere e rendersi consapevoli di una fase discendente del percorso di vita, in cui sanare eventuali aporie. È una “resa dei conti”, in cui si prende atto anche del tempo scorso sul proprio fisico, sui segni che lascia e sugli acciacchi che bussano alla porta.

Ogni fase della vita comporta dei cambiamenti fisici e mentali verso i quali non tutti sono pronti o intenzionati ad accettarli. Il caso più emblematico è quello dell’adolescenza, in cui il bambino inizia il suo periodo di crescita e di affrancamento dai genitori: periodo delicato per entrambe le parti in gioco. Altra fase delicata è quella in cui la curva degli anni comincia a piegare e rende conto di aver oltrepassato il “mezzo del cammin di nostra vita”. La tendenza è quella di non accettare quest’inizio di invecchiamento e puntare i piedi contro una situazione non contemplata nei propri programmi.

Nell’età precedente alla pensione, subentra una sorta di ultima chiamata nel prendere ciò che non è stato ancora realizzato. La conseguenza è nel fuggire il ruolo delle responsabilità e di procedere solo per interesse e svago.

Di recente, Papa Francesco ha affermato che nella società di oggi “che coltiva l’illusione dell’eterna giovinezza, l’anestesia dei sensi spirituali, dovuta all’eccitazione e allo stordimento di quelli del corpo, è una sindrome diffusa, per lo più inconsapevole. Non ci si accorge, cioè, di essere anestetizzati, sicché i sensi interiori, i sensi dello Spirito, non distinguono la presenza di Dio o la presenza del male”.

“Convertire Peter Pan” (sottotitolo “Il destino della fede nella società dell’eterna giovinezza”) è il volume scritto da Don Armando Matteo e pubblicato da “Ancora” il 14 settembre scorso. L’autore analizza il ruolo del Cristianesimo, nel confronto con l’ideologia imperante della giovinezza che permea adulti e nuove generazioni.

A proposito di adolescenza mitizzata, Terre des Hommes (organizzazione impegnata nella difesa dei diritti dei bambini), al link https://terredeshommes.it/comunicati/osservatorio-indifesa-1-adolescente-2-vittima-bullismo/, il 3 febbraio scorso ha offerto un quadro della situazione. È opportuno trarre alcuni stralci di questa pesante realtà “Bullismo e cyberbullismo continuano a essere minacce reali. Lo raccontano i dati raccolti dall’Osservatorio indifesa realizzato da Terre des Hommes e OneDay, con l’aiuto di ScuolaZoo e delle sue community, che ha coinvolto più di 1700 ragazzi e ragazze dai 14 ai 26 anni in tutta Italia. 1 adolescente su 2 ha subito atti di bullismo e, insieme al cyberbullismo, i due fenomeni sono tra i principali rischi percepiti dagli adolescenti. I commenti raccolti dalla survey denunciano anche il profondo dolore provato da ragazzi e ragazze per discriminazioni a causa dell’orientamento sessuale, offese razziste, bodyshaming, atti di denigrazione, violenza e incitazione al suicidio. Le giovani generazioni sono molto consapevoli dei pericoli del web: ben 7 su 10 dichiarano di non sentirsi al sicuro quando navigano in rete. A preoccuparli maggiormente è proprio il rischio di cyberbullismo (68,8%) seguito da revenge porn (60%) furto di identità (40,6%) e stalking (35%) ma anche l’alienazione dalla vita reale (32,4%) con la creazione di modelli e standard irraggiungibili, è fonte di enorme frustrazione. Al di fuori degli schermi virtuali, invece, il 50% degli adolescenti dice di aver paura di subire violenza psicologica e bullismo (44%). […] Il 37,5% degli intervistati teme l’isolamento sociale e il 35% ha paura di soffrire di depressione, il 22% di solitudine. L’88% dei partecipanti al sondaggio afferma di sentirsi solo o molto solo (un dato in linea con quello espresso l’anno scorso quando la percentuale registrata era del 93%). Tra le cause della solitudine il 31% dice di non sentirsi ascoltato in famiglia e il 30% non si sente amato, mentre il 29,2% non frequenta luoghi di aggregazione”.

Si tratta di una condizione in cui si sono trovate anche le generazioni del passato, sebbene ristrette in un intervallo di vita più breve. Non si tratta, dunque, di un fenomeno nuovo. Tuttavia, ci sono delle peculiarità tipiche del nostro tempo che accelerano e amplificano, spesso patologicamente, i processi di vita. Il primo “fatto nuovo” è proprio nell’accresciuta speranza di vita che dilata le diverse età e rende più aperte le chance di riscatto.

Un altro elemento è nella contemporanea presa d’atto di un’esistenza posta dinanzi a eventi inimmaginabili e di grande impatto, come la pandemia e il timore di un altro conflitto mondiale, che pongono l’individuo a materializzare i propri sogni e a far presto nel godere del “carpe diem”. La pandemia gioca un doppio ruolo. Il primo è proprio nell’angoscia che lascia per il futuro, spingendo ad approfittare del presente. L’altro è nella consapevolezza di aver rinunciato, con gli stop e i divieti del lockdown, a quasi due anni della propria vita, motivo in più per recuperare.

L’altro fatto nuovo è dato certamente dall’azione dei social e del web che ha infranto ogni limite generazionale. Il consumismo e l’esteriorità, infatti, omologano gli individui anche in maniera transgenerazionale. Il linguaggio si adegua e diviene più smart e ammiccante, armonizza e congiunge, conforma senza discernere.

Il web è lo specchio fedele: la messaggistica dei social si riempie, infatti, di immagini molto infantili e di “buongiorno” e “buonanotte” farciti di cuoricini, orsetti e frasi adolescenziali. Un esempio è anche nella scelta culturale, dei film (e dei libri), in cui giganteggiano quelli dei supereroi o delle complesse e intricate vicende sentimentali.

Il processo di formazione della propria identità, che si intende compiuto, alla soglia dei 50 anni, non è sempre così pacifico. Al traguardo arrivano, stanchi, uomini e donne pressati da una vita sempre più frenetica. L’universo femminile, giunge, per la prima volta nella storia, all’età matura con un meritato riconoscimento del proprio ruolo, a differenza del passato in cui arrivava come “accessorio”, meno scolarizzato e, spesso, non autonomo economicamente. Il principio della seconda opportunità, della seconda chance, è sempre vivo nella natura umana, nella latente inquietudine di aver perso, strada facendo, qualche treno importante. L’emancipazione che questa seconda adolescenza sembra proporre, nel soddisfare l’inappagato della prima, è un fattore di vitalità innegabile. Il rischio è quello di ricadere in un’incompiutezza dei sogni provati, di piombare in una nuova delusione che, in questo caso, può assumere anche contorni più drammatici e prossimi al fallimento, quello di una vita intera, non di una fase soltanto.

L’entusiasmo spezza catene e responsabilità, induce a un maggiore fatalismo e, fondato sul materialismo, rischia di generare gravi ripercussioni nel caso in cui la ricerca del piacere dovesse rivelarsi inadeguata alle aspettative. Può sembrare una libera scelta ma, di fondo, si poggia su un’insoddisfazione senza termine, a cui si accompagna la tendenza a mitizzare e idolatrare un tipo di vita ormai irrealizzabile. La fiducia di aver più senno per gestire le situazioni di 30 anni or sono, in cui si era maggiormente sprovveduti, può non risultare corretta e il remake del film può non avere il finale desiderato.

Lo squilibrio, forzato, dalle ammiccanti seduzioni del web, rischia di vanificare il pur legittimo desiderio di novità, vitalità e curiosità. La ricaduta fisica e mentale che si genera, porta, in breve, dall’illusione della seconda giovinezza alla certezza di una vecchiaia anticipata. Il confronto con il prossimo diviene, in questi casi, molto competitivo e si lega, strettamente, alla condizione esistenziale e fisica: oltre a bilanciare il proprio status economico/sociale con quello degli altri, si stima la personale tenuta al tempo che passa, correndo ai ripari per non ridursi ai livelli di coetanei che appaiono, invece, più in là con l’età.

La creatività non ha età e non necessita di pifferai magici, posti alla soglia del circo mediatico, che la debbano orchestrare. È più libero chi, in questo, cerca da solo, pur sbagliando, il proprio percorso evolutivo. Il tornare forzatamente a un’età trascorsa implica, necessariamente, la rinuncia a quello che si sta vivendo che, a sua volta, produrrà nuovi rimorsi in futuro; il tutto in una catena senza fine in cui paradossalmente, si pensa di vivere l’attimo fuggente ma, in realtà, lo si sta perdendo.