Pensione: a quanti anni ci andranno i giovani che iniziano a lavorare nel 2023

Le stime della ricerca "Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani", realizzata dal Consiglio Nazionale dei Giovani assieme a Eures

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Un giovane che entra nel mondo del lavoro oggi, nel 2023, a quanti anni riuscirà ad andare in pensione? Cosa emerge dalla ricerca realizzata dal Consiglio Nazionale dei Giovani assieme a Eures. 

A quanti anni andranno in pensione in giovani

I giovani che si affacciano oggi al mondo del lavoro andranno in pensione a 74 anni. Sono queste le stime della ricerca “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani”, realizzata dal Consiglio Nazionale dei Giovani assieme a Eures. La presidente del Cng, Maria Cristina Pisani, sottolinea che “la combinazione di precarizzazione, discontinuità lavorativa e retribuzioni basse per i lavoratori under 35 non solo rende più difficile l’ingresso nel mercato del lavoro, ma determinerà la loro uscita solo per vecchiaia, con importi pensionistici molto bassi. Una situazione che, se non si interviene, sarà socialmente insostenibile”. Queste le proiezioni originali sul valore delle pensioni atteso nei prossimi decenni per i lavoratori dipendenti che oggi hanno meno di 35 anni: se la permanenza si protraesse fino al 2057, determinando così un ritiro quasi a 74 anni (73,6), l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.577 euro lordi mensili (1.099 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,1 volte l’importo dell’assegno sociale. Per i lavoratori in partita iva (sempre con permanenza fino al 2057 e un ritiro a 73,6 anni) l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.650 euro lordi mensili (1.128 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale. “È necessario – prosegue Pisani – un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali: la questione demografica e il passaggio al sistema del ‘contributivo puro’ mettono infatti ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico
“Sono stime – aggiunge Alessandro Fortuna, consigliere di Presidenza con delega alle politiche occupazionali e previdenziali – che evidenziano la grave distorsione del sistema, così come attualmente definito, che non soltanto proietta nel tempo le diseguaglianze reddituali, rinunciando a qualsivoglia dimensione redistributiva, ma addirittura risulta punitivo verso i lavoratori con redditi più bassi, costretti a permanere nel mercato del lavoro (al di là dell’anzianità contributiva) per tre o addirittura sei anni più a lungo dei loro coetanei con redditi più alti e ad una maggiore stabilità lavorativa”.

Fonte Ansa