L’attacco della mafia alla Chiesa: 30 anni dopo, tra memoria e coscienza

Dal Laterano al Velabro, la marcia "Roma non dimentica" si snoda tra i vicoli più stretti nell'anniversario degli attentati alle chiese. Ma resta il messaggio

Fiaccolata attentati mafia Chiese
Foto © Interris

Una luce debole ma viva. Il riverbero è quello della memoria o, se vogliamo, di una coscienza civile. Da coltivare e, al contempo, da costruire. Perché è vero che la testimonianza è importante ma, se non accompagnata dal dialogo tra generazioni, anche il racconto più vivido rischia di non trovar posto tra i cittadini del futuro. Per questo, nel tratto di strada che separa la basilica di San Giovanni in Laterano e la chiesa di San Giorgio al Velabro, si tiene in mano una candela. Una piccola fiamma per ricordarci che, in fondo, è sempre la luce la risposta alle tenebre.

Trent’anni fa, la notte del 28 luglio, fu squarciata dal suono delle bombe: prima in Via Palestro, a Milano, dove il tritolo spezzò la vita di cinque persone. Un’ora dopo a Roma, davanti a due chiese, tra le quali la cattedrale. Una sfida aperta della mano nera di Cosa nostra, il cui guanto di sfida alla civiltà e alla fede cristiana era già macchiato del sangue dei giudici Falcone e Borsellino. Nella Capitale non ci furono morti ma una ferita profonda, la cui cicatrice testimonia, oggi come tre decenni fa, la distanza incolmabile tra la mafia e la civiltà della vita.

La fiamma della memoria

Da Piazza San Giovanni, dove esplose la prima bomba, fino al portico del Velabro: Diocesi di Roma e Campidoglio, affiancati dall’associazionismo, rappresentato tra gli altri da Libera, scelgono di mettersi in marcia, candele alla mano e striscioni in vista. Agli inizi di una notte di metà estate che, per certi versi, non sarebbe diversa quella del 28 luglio 1993, chiaramente prima che le bombe esplodessero. Non c’è afa né traffico, pochi passanti e curiosi ma c’è spazio per una preghiera. E anche per il ricordo delle parole di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento, giusto poche settimane prima degli attentati. Quel “Convertitevi!” che, nel giro di un paio di mesi, avrebbe ricevuto la più emblematica delle risposte. Nessuna parola ma gli echi delle bombe, a ribadire che la mafia non accoglie il messaggio del Vangelo.

Fiaccolata attentati mafia Chiese
Foto © Interris

La marcia

“Roma non dimentica”, recita lo slogan impresso sullo striscione di testa del corteo, sorretto tra gli altri da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera. Non dimentica ma richiama un numero tutto sommato contenuto di partecipanti. E, soprattutto, guida le fiammelle della memoria a passo svelto tra le vie appartate sulle spalle del colle Celio, anziché lungo le principali del Centro storico, nonostante il traffico limitato. Ci sono rappresentanze istituzionali, dal vicesindaco Silvia Scozzese ai presidenti di alcuni Municipi romani. C’è l’ex sindaca, Virginia Raggi, e il prefetto di Roma, Lamberto Giannini, la presidente della Commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo, e l’ex procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho. Ci sono esponenti di generazioni distanti ma, forse, non il raccoglimento che ci si aspetterebbe.

L’impegno della Chiesa contro la mafia

Eppure c’è un messaggio importante da cogliere e accogliere: “Abbiamo bisogno di dire ‘no’, come hanno fatto sia Giovanni Paolo II che Papa Francesco, con toni molto forti, diversi ma uguali nella sostanza – ha detto a Interris.it mons. Baldassare Reina, vescovo ausiliare e vicegerente della diocesi di Roma -. Abbiamo bisogno però anche di una proposta educativa ed è quello che il Magistero della Chiesa ha fatto e che fa costantemente”. Camminando sulle orme di chi, attraverso la propria pastorale, ha reso chiaro quale fosse il compito della Chiesa: “Padre Pino Puglisi ha fatto proprio questo. A Brancaccio stava con i ragazzi, permetteva loro un’educazione scolare che, purtroppo, in quel territorio non era garantita. E la mafia ha capito bene che se si lavorava su quel versante venivano tolte alla base le potenzialità della mafia stessa. E allora ha colpito l’autore di questo progetto di bene, un progetto educativo”.

Fiaccolata attentati mafia Chiese
Foto © Interris

Ricordo e coscienza

Al Velabro si arriva tutto sommato rapidamente. Qualcuno si sofferma a guardare il porticato, ricostruito dopo che l’autobomba del ’93 lo aveva quasi raso al suolo. C’è spazio per qualche riflessione, mentre le candele man mano si spengono. È il momento di chiedersi se il messaggio si arrivato davvero, se Roma sia in grado di far memoria di sé stessa o se serva qualcosa di più: “Occasioni come queste sono molto significative – ha detto a Interiss.it l’ex procuratore antimafia De Raho -. Anzitutto perché si possa condividere, collaborare, migliorare la nostra società e, soprattutto ,tenere un comportamento fermo, irreprensibile, rigoroso nei confronti di qualsiasi illegalità. E quindi nei confronti delle mafie e qualunque manifestazione di sopruso”.

Un impegno perpetuo

Ma occorre qualcos’altro, magari nell’ambito dell’istruzione. “Non occorre solo lo studio finalizzato a una licenza o una laurea: è importante formare cittadini che siano consapevoli dei valori della nostra Costituzione, della democrazia, uguaglianza e libertà. E avere questa consapevolezza è ciò che poi ci consentirà di reagire contro qualunque forma di violenza, sopruso e arroganza. Quando avremo certezza che questo è il nostro vero patrimonio, probabilmente non avremo più paura di reagire contro chi vuole violare i nostri diritti”. Del resto, la coscienza civile va coltivata, apportando in ogni campo quanto appreso lungo il proprio percorso: “Aver avuto un’esperienza come quella di procuratore mi consente di sentire queste date come importanti. La mafia è soltanto sopita, ha scelto in questo momento di non apparire ma esiste ed è molto forte, soprattutto economicamente. Per questo comunicare l’importanza dell’impegno contro le mafie credo sia fondamentale in ogni ruolo”.