Il principio delle parabole raccontate da Gesù

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Ci piace un discorso chiaro e diretto. Ma può spiegare tutto? Dopotutto, ci sono argomenti complessi o misteriosi che sfuggono effettivamente alle parole. Le parole rimarranno sempre insufficienti. Lo sappiamo bene dalla vita. In molte situazioni, di solito le più importanti, le parole non servono.

Gesù, invece, è il Verbo incarnato. Questo significa qualcosa per la nostra comunicazione? Probabilmente più di quanto si possa pensare. Il Verbo che si fa uomo – agendo, insegnando – sono nuovi spazi per la presenza e l’efficacia della Parola. Non è mai un’astrazione. Si tratta sempre di una persona concreta. Il suo lavoro costituisce un legame che unisce due persone, il seme della loro relazione o, per meglio dire, interazione.

Ma anche Gesù ha pronunciato parole di straordinaria bellezza e spessore. Questa è un’altra forma di incarnazione: Le sue parole racchiudono almeno la bellezza e la forza della poesia. Sono vive e danno la vita. Piacciono, toccano, trasformano, rimangono nel cuore. E questa è l’essenza delle parabole evangeliche, di cui ascoltiamo l’origine e il significato nel brano odierno del Vangelo secondo Matteo: bastano immagini e scene di vita, evocative e concrete.

È molto significativo che inizialmente Gesù non intendesse affatto spiegare questa parabola – così come altre. Voleva semplicemente lasciarla così com’è. Per renderla efficace con la forza delle immagini: una scena semplice ma anche molto eloquente, memorabile e stimolante. La storia del destino dei semi gettati a terra è in un certo senso commovente. Dilata la sensibilità, allarga gli orizzonti. Sotto la patina di questa storia, emergono verità di carattere più generale che riguardano il rapporto dell’uomo con Dio e, più in particolare, l’accoglienza della sua Parola. Questo complesso processo è illustrato da Gesù con un fenomeno comunemente conosciuto in natura. Ecco, del resto, il principio delle sue parabole. Qui troviamo che il mondo dell’agricoltura, della natura, nasconde in sé i Misteri del Regno dei Cieli. Bastano la perspicacia, l’immaginazione e l’intelligenza acquisite alla scuola del Verbo incarnato. Possiamo così incorporare impercettibilmente la vita nella corrente del pensiero di Dio, conducendola gradualmente verso il Regno di Dio.

Ma questo basta? Le immagini e le situazioni rappresentate in modo vivido sono in grado di spiegare e motivare sufficientemente le persone a vivere secondo le raccomandazioni di Gesù? Questa è la domanda che ha turbato gli apostoli. Così chiedono a Gesù il significato delle parabole. E qui c’è una sorpresa. Gesù afferma chiaramente che le parabole da sole non bastano. Devono essere spiegate, interpretate. Allora non sarebbero più per tutti.

A questo punto potreste essere sorpresi: la conoscenza del Regno di Dio è elitaria? Si scopre che lo è. Non nel senso che non è per tutti. La chiave è un’altra: la grazia, o più precisamente l’elezione da parte di Diolibera, non meritata. E questa grazia si manifesta e opera attraverso gli altri – coloro che interpretano, che permettono di capire. La parabola è un evento sociale, per non dire comunitario. Sì, incuriosisce il singolo ascoltatore, ma attirandolo nel suo mondo, solleva domande. Nella parabola, quindi, si inizia una conversazione, si ha bisogno di altri per capire tutto. E così il richiamo comunitario nella parabola fa nascere la comunità. È sempre stato così in tutte le culture umane. È così che nasce l’identità e la tradizione di una comunità.

Tuttavia, nel caso di Gesù, la comunità non è lasciata sola con il testo – perché non è un testo creato dall’uomo. Nella sua forza e bellezza, diventa un invito e una chiamata ad aprirsi e ad allargare i nostri orizzonti. Questo può avvenire proprio attraverso l’azione della grazia, attraverso l’aiuto di altre persone che diventano strumenti di questa grazia. E qui arriviamo al ruolo della Liturgia della Parola, e in particolare dell’omelia: un piacere condiviso nella bellezza della Parola di Dio, un piacere che ci apre, ci unisce e ci porta più lontano insieme. È una semina costante, generosa, perseverante e creativa, nella speranza che alla fine tutti i semi cadano su un terreno buono e diano i giusti frutti.