Roma, ecco Friedkin: si chiude l’era Pallotta, tra grandi sogni e nessun titolo

Operazione da 591 milioni di euro e un titolo che vola in Borsa. Ai texani il compito di dare continuità a un progetto tecnico finora mai del tutto sbocciato

Un’ufficialità nell’aria da giorni, che arriva a qualche ora dalla partita più importante della stagione. La Roma resta americana ma l’amministrazione passa dal Massachusetts di James Pallotta al Texas di Dan Friedkin che, dopo un tira e molla andato avanti praticamente per tutto il campionato, assume a pieno titolo la guida del club. Un affare da 591 milioni di euro, come da contratto preliminare, con conclusione definitiva prevista per la fine del mese.

Un passaggio atteso, che mette di fatto fine all’era Pallotta e apre un nuovo capitolo per la Roma a stelle e strisce. Le prime firme hanno sortito l’effetto di lanciare il titolo in Borsa, con l’As Roma che schizza a + 5,39%, addirittura incrementando il trend di ieri (poco più del 4%). L’aspettativa, ora, è che come minimo i risultati della nuova gestione siano migliori di quelli ottenuti con la precedente.

Prestigio senza gloria

Con tutti gli aspetti controversi del caso, per la Roma si chiude comunque un’era. Quella iniziata nell’ormai lontano 2011, quando la cordata americana rilevò il club dalla famiglia Sensi ponendo fine a un ventennio fatto di picchi straordinari (come lo Scudetto del 2001) e di qualche periodo di appannamento (come la stagione 2004-2005). Ma comunque trascorsi all’insegna della passione e dell’attaccamento a maglia e calciatori. Quell’identificazione squadra-città che, forse, negli anni successivi è venuta meno.

Nove anni di gestione, una cordata approdata a Roma con grandi prospettive e aspettative, riuscita a mantenere la squadra ad alti livelli senza però consegnare ai tifosi quanto promesso: un club capace di giocarsi stabilmente sul campo le ambizioni di vittoria. Anzi, l’era Pallotta si chiude non solo senza trofei (l’ultimo vinto risale al 2008, con il successo in Supercoppa italiana) ma con il rammarico di essersi vista sfumare l’unica finale raggiunta addirittura contro la Lazio (lo storico derby di Coppa Italia del 2013).

Tifosi e società

Certo, l’incetta di podi e la semifinale di Champions League del 2018 qualche soddisfazione l’hanno portata. Niente di concreto però. La sensazione generale è stata di un amore mai sbocciato e di una squadra eternamente incompiuta, incapace di dare continuità a un progetto tecnico (vedi gli otto allenatori cambiati in altrettante stagioni) e, soprattutto, con una strategia di plusvalenza che, a lungo andare, ha logorato la pazienza della maggior parte della tifoseria.

Una programmazione che, a lungo andare, si è rivelata infruttuosa, non in grado di conciliare le ambizioni della piazza con la logica del brand. Magari azzeccata nell’ambito del marketing e delle relazioni commerciali ma lacunosa dove avrebbe dovuto piazzare i risultati migliori: la conquista di titoli.

La politica delle plusvalenze

Nemmeno uno messo in bacheca durante la gestione bostoniana, che pure di soldi ne ha investiti. Un rapporto società-giocatori che ha spesso fatto acqua, per non parlare del feeling fra dirigenza e tifosi, che forse più di tutti hanno percepito le difficoltà dovute a una società poco presente a Roma e in mezzo alla squadra. Con il rammarico di aver visto grandi e buoni giocatori transitare per la Capitale per poi finire a conquistare titoli altrove: dai vari Salah e Alisson con il Liverpool, a Pjanic (Juventus), Marquinhos (Psg), Digne (Barcellona), Rudiger e Emerson (Chelsea) e via discorrendo. Da qui il sentore, via via sempre più marcato, che il concreto progetto tecnico, quello in grado di basarsi su un’ossatura resistente negli anni, non ci sarebbe stato. Senza contare la vicenda stadio, che ha accompagnato i quasi dieci anni di gestione bostoniana senza che si arrivasse di un miglio più vicini alla realizzazione dell’avveniristico progetto a Tor di Valle.

L’era dei Friedkin

A Dan e Ryan Friedkin, il compito di rinnovare non solo la gestione societaria ma anche di ricucire lo strappo fra management e tifoseria. Perché se c’è qualcosa che la piazza chiede, è di tornare a identificarsi con i propri colori. A vedere nella squadra l’attaccamento al nome e ai simboli. Possibilmente con un progetto a lungo termine, che costruisca un’ossatura in grado di durare nel tempo. Quasi 600 milioni non sono uno scherzo. Segno che Friedkin sul calcio vuole puntarci sul serio. E Roma può essere la piazza giusta. Ora però c’è una partita da giocare. Perché sul futuro ci si può ragionare, il Siviglia è avversario presente e concreto.