Suor Nazarena, una reclusa al centro di Roma che ci insegna la Pasqua

Il significato della preghiera, del silenzio e dell’isolamento, anche il più estremo e apparentemente assurdo. In questi giorni di quarantena forzata, per i ben noti problemi sanitari che stanno tristemente coinvolgendo l’intero globo, ci lasciamo stupire dai prodigi operati dal Signore e dalla fede dimostrata da figure esemplari che hanno seguito Gesù fino alle estreme conseguenze.

Una di queste persone è Julia Crotta, nota come Suor Nazarena, che nasce nel 1907 a Glastonbury nel Connecticut (Stati Uniti) da una famiglia numerosa. È la settima figlia di una coppia di immigrati italiani. Studia al conservatorio, si laurea in letteratura, pratica danza e sport conducendo una vita normale, come tanti coetanei del suo tempo. Le si prospetta un percorso professionale e magari un matrimonio con dei figli, sebbene non si senta particolarmente predisposta verso tale prospettiva. “Dio mi diede grazie fuori dall’ordinario – spiegherà infatti più tardi – sentivo che il matrimonio non era per me, e la mia vita era destinata ad altro. Sapevo che un giorno mi sarebbe stato dato di conoscere questa via fuori dall’ordinario, che ero chiamata a seguire”.

Nel 1934 avviene la svolta che genera un’autentica rivoluzione nella sua esistenza. A seguito dell’invito ricevuto da una suora, partecipa a un ritiro spirituale che si tiene durante la Settimana santa. Proprio nel corso di questi esercizi spirituali, nella notte tra il Venerdì e il Sabato santo che in seguito Julia chiamerà “nox beatissima”, ha una visione in cui Gesù le dice: “Vieni con me nel deserto”. Da quel momento la giovane donna americana inizia un lungo e complesso discernimento su cosa significhino, nella concretezza del suo cammino, quelle parole. All’inizio pensa di doversi trasferire in un deserto fisico, reale, come quello della Palestina, ma ciò le viene decisamente sconsigliato dal suo direttore spirituale che lei ascolta con grande fedeltà. “Non mi fido assolutamente di quanto provo – scrive – anche quando credo che venga da lui [Dio]. Mi fido invece di chi parla nel suo nome”.

A 11 anni dalla “nox beatissima” – con tenacia e sempre nella piena obbedienza – approda a Roma, presso il monastero di Sant’Antonio abate. Ma Julia Crotta, all’interno di quel convento, sceglie una via del tutto inconsueta per una suora: la reclusione volontaria. Di fatto rappresenta l’ultima religiosa “reclusa” della storia e vivrà per quarantacinque anni in una minuscola cella sul colle Aventino senza mai parlare e incontrare nessuno all’infuori degli sporadici contatti col padre spirituale e la madre abadessa. Una figura significativa di religiosa che ha vissuto nel nascondimento fino alla morte, seguendo l’esempio di Gesù nella casa di Nazareth. Proprio per questo motivo sceglie il nome di Suor Nazarena, con un chiaro riferimento al luogo in cui il Messia ha trascorso i suoi primi 30 anni. Nel 1945 viene ricevuta da Papa Pio XII che le dà la sua benedizione e approva il regolamento di vita – pur considerandolo “un po’ severo” – da lei stilato per la propria reclusione.

Mai, in questi 43 anni – racconterà sempre per iscritto due anni prima di morire – ho provato tristezza, noia; al contrario una gioia sempre nuova, che non perde la sua freschezza. Come quella dell’eternità”. Nella sua giornata alterna dei momenti di lavoro e preghiera; studia e fa la lectio divina, partecipa alla Messa da una finestrella con grata, attraverso la quale riceve la comunione. Resta sempre una donna forte, equilibrata e allegra nonostante si nutra solo di pane e acqua e dorma su una semplice cassapanca, senza materasso e cuscino, sormontata da un crocifisso. La sua testimonianza di santità permane tra quelle mura come una memoria viva. Ammette candidamente: “Soffro la fame (e ne sono contenta; altrimenti non avrei nulla da offrire), ma è sopportabile”.

I decenni di reclusione monastica sono all’insegna della completa offerta di sé, in unione alle sofferenze di Cristo, per il bene delle anime e della Chiesa. “Quello del recluso è il percorso del Sabato santo – spiega Suor Michela Spera, camaldolese, che ha studiato a fondo la vita e gli scritti di Nazarena Crotta –. Il silenzio era per lei un’esigenza vitale. Nelle sue lettere non dice mai perché ma il silenzio è in tutti i successivi regolamenti da lei scritti. Silenzio e solitudine: voleva stare ‘sola con Dio solo’”.