Choc in Libia: 20 migranti morti di fame in un centro di detenzione

Almeno 20 morti, tutti per malattia e per fame, in condizioni igieniche al limite del concepibile. Così hanno trovato la loro fine alcune delle centinaia di persone stipate nei centri di detenzione in Libia, ritrovate senza vita, come riferito dall'Associated Press, in un tappeto di rifiuti putridi e scarti di fogna. L'ultima tragedia di un'emergenza umanitaria continua e che caratterizza la costa libica da est a ovest, in un unico grande quadro drammatico. Nel caso specifico i superstiti, tramite i loro avvocati, hanno puntato il dito contro le organizzazioni internazionali umanitarie, in particolar modo l'Unhcr, accusata di non aver effettuato interventi pur essendo a conoscenza della situazione. Un'accusa respinta al mittente dall'organizzazione, che si è difesa affermando di non aver avuto accesso a tutte le zone del centro, compreso l'hangar della tragedia, perché controllate dalle milizie libiche.

Il dramma degli hangar

Un dramma continuo nei centri di detenzione, porzioni di territorio dove centinaia di persone attendono di oltrepassare la linea di frontiera tra l'incubo e la salvezza che, spesso, si traduce in un viaggio altrettanto pericoloso e, putroppo, dagli esiti incerti. Una scia di sofferenza che attraversa l'intera fascia costiera e che, negli hangar battuti dal sole affacciati sul Mediterraneo, si consumano tragedie quotidiane, fatte di torture, stupri, ricatti e altre gravissime violazioni dei diritti umani, perlopiù inosservati e che, peraltro, arrivano dopo quelli che spesso rappresentano vere e proprie odissee dai Paesi di origine fino alla costa. Un luogo che, teoricamente, dovrebbe rappresentare una finestra verso il futuro ma che, nella maggior parte dei casi, costituisce l'ennesima atroce realtà di sofferenza.

Nuova emergenza all'orizzonte

I numeri, al momento, parlano di almeno 6 mila persone rinchiuse nei centri di detenzione, gestiti da milizie diverse e, sovente, accusate di violazione dei diritti umani. Da qui, solitamente, parte il laido business dello scafismo, una forma di sfruttamento nello sfruttamento che non tiene conto delle possibili tragedie del mare che favorisce. Nel frattempo, si delinea un possibile nuovo caso all'orizzonte delle acque territoriali italiane: come dichiarato da Open Arms, un barcone con 55 persone a bordo sarebbe diretto a Lampedusa: fra loro ci sarebbero donne e bambini. Ancora un'emergenza che rischia di creare l'ennesimo contenzioso, visto che, al momento, il barcone si troverebbe in acque sar maltese.