Mogli, madri, figlie: donne-coraggio contro la mafia

Rita, Lea, Maria, Renata, Rossella: dietro ai nomi, le storie di donne indomite che hanno affrontato le mafie, facendo delle loro vite un esempio di dignità e coraggio. Borrometi (Agi): "Da loro abbiamo molto da imparare"

Donne contro mafia
Foto di Goran Horvat da Pixabay

Forse è vero che chi lotta è solo. Ma non perché, nelle proprie battaglie, non sia possibile ricevere aiuto. È una solitudine intrinseca, figlia della volontà ferrea di sganciarsi da un contesto sociale per denunciarne il lato oscuro, una volta che ci si è resi conto del dolore che è in grado di provocare. La criminalità organizzata, in qualunque modo si chiami, si combatte migliorando sé stessi, i propri quartieri, mostrando l’aspetto migliore della vita quotidiana, anche la più ordinaria. Togliere di mezzo quella convinzione che di speranza non ce ne sia, spesso generata da ciò che si vede attorno a sé. Perché la decadenza interiore è più grave del degrado esterno. E, alla lunga, fa male. Anche per questo, forse, il coraggio della resistenza alle mafie prende spesso forma nei lineamenti femminili. Di donne che, con le loro stesse vite, hanno mostrato da dove si parte. Con la determinazione delle madri, il coraggio estremo delle figlie e la denuncia a testa alta, netta, tipica di chi non ha paura.

Rita e Lea

“Dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci”. Rita Atria lo scrisse nel suo diario, pochi giorni prima di morire. Giovanissima donna, nata, suo malgrado, in uno di quei contesti in cui quel “modo sbagliato” esisteva ed era costato la vita a suo padre e suo fratello. Una realtà dalla quale scelse di affrancarsi senza esserne coinvolta, credendo fermamente nelle indagini del giudice Borsellino e, soprattutto, in un percorso di elevazione morale che potesse essere d’esempio per quei coetanei che, magari, nella rete illusoria delle mafie ci erano finiti davvero. Testimone di giustizia, come Lea Garofalo, che denunciò le faide dei clan di Petilla Policastro, lottando fino alla morte per proteggere sua figlia.

Donne coraggio

“Di modelli illustri ce ne sono molti – ha spiegato a Interris.it Paolo Borrometi, condirettore dell’Agi e giornalista antimafia -. Professioniste, madri, mogli… Ad esempio, si celebra sempre troppo spesso come ‘moglie di Giovanni Falcone’ ma non si ricorda come anche Francesca Morvillo fosse uno straordinario magistrato. E questo è un errore che si commette. C’è un bellissimo libro di Felice Cavallaro, intitolato semplicemente ‘Francesca’, che ci racconta lo spaccato umano ma soprattutto professionale del magistrato. Non era solo la moglie di Giovanni Falcone ma era una donna impegnata, ed è sempre importante ricordare le donne per il loro impegno”.

Figlie e sorelle

Alcune combattono ancora oggi, altre hanno perso la vita nel tentativo. Altre ancora hanno fatto della resistenza alle mafie la loro ragione di vita, incarnando in sé stesse il desiderio di giustizia piena: “Una donna straordinaria è Rosanna Scopelliti, presidente della Fondazione Scopelliti e figlia del giudice Antonino Scopelliti, che aveva 7 anni quando è stato ucciso suo padre e che da anni continua a chiedere verità e giustizia. Come Sonia Alfano, figlia di Beppe Alfano, che si è impegnata ogni giorno” per la memoria di suo padre, giornalista vittima di mafia. “Penso anche a Luana Ilardo, figlia di Luigi. A Emanuela Setti Carraro, moglie di Carlo Alberto Dalla Chiesa. E ancora Rita Borsellino, sorella di Paolo, che per tanti anni ha lottato in maniera indomita”.

Una sorella, dei gemelli Giuseppe e Salvatore, è anche Margherita Asta, che perse la madre e i fratelli nella strage di Pizzolungo del 1985, “quella che doveva portare all’uccisione del giudice Carlo Palermo. E ha continuato, in tutti questi anni, ha chiesto verità e giustizia fino a ottenerle, qualche tempo fa, con una sentenza del Tribunale di Caltanissetta”.

Maria Chindamo, uccisa perché libera

Storie recenti, vicine nel tempo e anche nello spazio. Perché le mafie cambiano volto, forse, ma è dalle stesse fonti che traggono la loro linfa vitale, attingendo dalle sofferenze della società. Incontrando, però, anche la resistenza di chi la testa non vuole chinarla: “Un’altra storia di cui si parla molto poco è quella di Maria Chindamo, sequestrata a 46 anni, uccisa e data in pasto ai maiali. Ed è successo pochi anni fa”. Maria era scomparsa nel nulla il 6 maggio 2016, dopo essersi recata nelle campagne di Limbadi, nel Vibonese, cercando di far crescere i propri figli lontani dai retaggi ‘ndranghetisti attraverso l’imprenditoria agricola.

Mamme e mogli

Una mamma, Maria Chindamo. Come lo era “per antonomasia, Felicia Impastato, che ogni giorno ha chiesto verità e giustizia per il figlio Peppino“. E ancora, “Angela Manca, madre di Attilio Manca, che ancora oggi combatte per arrivare alla verità”. Le indagini sulla morte del medico, avvenuta nel 2004, sono state riaperte giusto qualche mese fa. “Penso inoltre a donne che avevano colpe per essere mogli – ha raccontato ancora Borrometi -, come Gelsomina Verde, la cui storia è poco conosciuta. Seviziata per ore, poi uccisa con tre colpi di pistola e il cui corpo fu bruciato all’interno di un’auto. Uccisa perché era la compagna di un uomo inviso al clan Di Lauro, in Campania”.

La storia di Rossella Casini

Della giovane studentessa Rossella Casini, invece, resta un ricordo sbiadito. In bianco e nero, come l’unica foto esistente di lei, tratta dal suo libretto universitario. “Aveva soltanto 25 anni quando si innamorò di un giovane studente calabrese, Francesco Frisina, rampollo di una famiglia ‘ndranghetista. Dopo qualche mese, lui convinse la sua ragazza a trascorre l’estate in Calabria”. Una vacanza che le cambierà la vita per sempre.

“Durante quei giorni fu ucciso il padre del ragazzo, Domenico Frisina, da due killer della ‘ndrangheta. Rossella si rese conto di aver assistito a un delitto di mafia ma decise di restare a Palmi, accanto al suo fidanzato. Lui stesso, qualche mese dopo, resterà ferito alla testa. A quel punto, Rossella decise di tornare nella sua Firenze, portando il fidanzato in ospedale per offrirgli le migliori cure. Dopodiché lo convinse a collaborare con la giustizia. La famiglia di lui scoprì questa collaborazione e diede a lei la colpa. A quel punto, Rossella Casini venne rapita e uccisa”. Anche in questo caso, il corpo non è mai stato trovato.

Il coraggio nelle istituzioni

Tanti esempi, diversi ma, forse, con un filo conduttore in grado di accomunarli. In ogni storia, infatti, emergono quei connotati di coraggio che, spesso, una visione troppo limitata della nostra società stenta a riconoscere alle donne. Eppure, la resistenza alle sopraffazioni mafiose ha spesso parlato un linguaggio al femminile, anche a livello istituzionale. Da “Enza Rando, fino a qualche mese fa vicepresidente di Libera e oggi parlamentare della Repubblica, donna che ha avuto il coraggio di affrontare tutte le battaglie legali che l’associazione ha fatto in questi anni”, a Renata Fonte, assessore alla cultura di Nardò, in Puglia, uccisa per aver contrastato la speculazione edilizia nella sua città. Le cui figlie, “Sabrina e Viviana, due donne eccezionali, hanno fatto della sofferenza  per la morte della madre una ragione di vita e hanno chiesto verità e giustizia ogni giorno”.

Come sempre, una Giornata internazionale, in questo caso quella dedicata al contrasto della violenza contro le donne, è un’occasione di riflessione. Perché “Ci sono tantissime donne che insegnano agli uomini come si combatte la lotta contro la mafia. Donne che hanno la determinazione di essere mamme, figlie, professioniste. Siamo noi uomini che dovremmo guardare molto di più alla forza delle donne”. Anche per comprendere cosa sia il coraggio, quello vero.