Dalla Domenica in Albis alla Festa della Divina Misericordia

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La prima domenica dopo la Pasqua di Risurrezione, la Chiesa universale, celebra la Domenica della Divina Misericordia, voluta da Giovanni Paolo nell’Anno Santo del Duemila. Tale domenica vuole ricordare le apparizioni di Gesù nel 1931 alla suora polacca della Congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia, Faustina Kowalska (1905-1938) nella cittadina di Plock sulle rive della Vistola. Come riportato nel Diario della suora, Gesù chiede alla religiosa, di istituire la “Festa della Misericordia”, che sia di riparo e di rifugio per tutte le anime e specialmente per i poveri peccatori. Suor Faustina Kowalska venne beatificata il 18 aprile 1993 ed elevata agli onori degli altari il 30 aprile del 2000, sempre da Giovanni Paolo II.

Liturgicamente, la domenica dopo Pasqua, era chiamata “In Albis”. La denominazione di questa domenica, deriva dalla veste candida che nei primi tempi del cristianesimo, veniva indossata dal catecumeno dopo il rito del battesimo. Anticamente, questo sacramento si amministrava con l’immersione nell’acqua, la cerimonia veniva ripetuta tre volte, accompagnata dalla triplice invocazione alla Trinità

Il sacerdote consegnava poi al novello cristiano, una tessera o una moneta, che nel IX secolo era chiamata “siliqua”. A volte durante il battesimo, si imponeva un nome al catecumeno, uso che poi divenne pressoché generale dopo il IV secolo.

Era questo il cosiddetto nomen spirituale e può essere paragonato a quello che viene tuttora assunto nella professione degli ordini monastici; ma con ciò non si perdeva il nomen patrium. Coloro che testimoniavano sulla sincerità della fede del catecumeno e lo sostenevano nell’immersione alla fonte, erano detti sponsores o susceptores, potremmo considerarli gli attuali padrini o madrine.

Il battezzato riceva infine latte e miele: e ciò stava a significare che avrebbe potuto avviarsi verso la terra promessa che come l’antica era raffigurata dall’abbondanza dell’uno e dell’altro. Terminato il rito, il catecumeno, che ormai aveva acquisito il titolo di neofita, indossava, come s’è detto, una vesta candida. Anche il rito cristiano del battesimo si riallacciava, ovviamente con altro significato, a quello già esistente nel mondo pagano e che era chiamato purificazione del corpo.

Sappiamo infatti da Virgilio, il Grammatico, che i pagani usavano l’acqua lustrale per purificare chi entrava nel tempio: “Essendo Giuliano (331-363) nella Gallia, raccontasi che si recasse ad uno di questi templi per farvi un sacrificio. L’accompagnava, secondo l’uso uno dei suoi grandi ufficiali, Valentiniano, (321- 375) che fu poi imperatore”.

Alla porta del tempio stava un sacerdote che teneva in mano rami di arboscelli bagnati nell’acqua lustrale con cui aspergeva quelli che entravano. Ne cadde una goccia sulla veste di Valentiniano, e questi, che intendeva la santità, ma non riconosceva quella pagana, gli disse ad alta voce: “Miserabile, bada bene a quello che fai: invece di purificarmi, mi hai macchiato”. E, presa la spada, tagliò quel pezzo d’abito su cui era caduta l’acqua, lo gettò in terra e lo calpestò.