IN MEMORIA DI MIRELLA GREGORI ED EMANUELA ORLANDI

Trentadue anni di misteri, indagini, colpi di scena ma nessun colpevole. Uno schiaffo al desiderio di giustizia di due famiglie: quella di Emanuela Orlandi, scomparsa il 22 giugno del 1983, e quella di Mirella Gregori, che ha fatto perdere le sue tracce pochi giorni prima della ‘ragazza con la fascetta’. La richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Roma dopo anni di attività investigativa, potrebbe rappresentare l’ultimo atto dal punto di vista giudiziario.

Nel dramma di una figlia che sparisce, la famiglia Gregori ha subìto anche la ferita dell’oblio. Mentre per Emanuela si sono spesi – purtroppo inutilmente – fiumi d’inchiostro sui giornali e nelle carte investigative – per Mirella non c’è mai stata troppa attenzione. Ecco perché, nel giorno in cui si sta forse scrivendo la parola fine sulla loro sorte, vogliamo iniziare proprio da lei.

Mirella Gregori era la figlia minore dei titolari di un bar in Via Volturno a Roma. Aveva 15 anni ed era conosciuta come la classica brava ragazza, studentessa in un istituto tecnico della capitale. Il giorno della scomparsa si recò regolarmente a scuola e tornò a casa attorno alle 14, dopo essersi intrattenuta qualche tempo in un bar vicino casa assieme ad un’amica. Poi una strana citofonata, e l’uscita verso Porta Pia per incontrare un amico di scuola (che invece era impegnato da un’altra parte). Era il 7 maggio 1983, poi il buio.

Emanuela Orlandi invece scompare verso le 19 del 22 giugno dello stesso anno, dopo essere uscita da una scuola di musica. E’ la figlia quindicenne di un messo della prefettura della Casa pontificia ed è cittadina del Vaticano. Un vigile dice di aver visto Emanuela parlare con un uomo a bordo di una ‘Bmw’ nera. Nei giorni successivi Roma è tappezzata di manifesti di ricerca della ragazza. Nella vicenda entrano vari ‘telefonisti’, mitomani, sciacalli o depistatori.

Quella che sembrava la scomparsa di una adolescente si trasforma in un ‘giallo’ internazionale che coinvolge in pieno il Vaticano. Il presunto rapimento finisce infatti per intrecciarsi con l’attentato di Agca contro Papa Wojtyla. Il Papa interviene con una lunga serie di appelli. Il 5 luglio le prime telefonate, alla famiglia e alla segreteria di Stato Vaticana, che mette a disposizione un’utenza telefonica riservata. Emanuela sarebbe prigioniera di un sedicente ‘fronte di liberazione anticristiano Turkesh’, che chiede la liberazione di Agca entro il 20 luglio. Quest’ultimo da parte sua prima dice che la ragazza è stata rapita da agenti bulgari e dai “lupi grigi”, poi di essere stato costretto a continue invenzioni sul caso, tornato in Turchia dà la colpa ad agenti segreti vaticani.

Proprio la presenza dei “lupi grigi” fa rientrare in contatto le due storie. Secondo la testimonianza di Agca, infatti, la scomparsa delle due ragazze sarebbe strettamente legata. In diversi comunicati del 1983-1984 l’organizzazione di estrema destra turca dichiarò di custodire entrambe le giovani.

Altro punto di contatto. Emanuela era figlia di un dipendente del Vaticano, la madre di Mirella invece, durante una visita del Papa in una parrocchia romana il 15 dicembre 1985, riconobbe in un uomo della vigilanza vaticana facente parte della scorta una persona che spesso si intratteneva con la figlia. Suggestioni, richiami, ma mai fatti concreti, notizie, prove.

E così ogni pista, ogni soffiata, ogni elemento di novità si sono sempre rivelati fasulli. Senza elementi, la prima inchiesta viene chiusa nel luglio 1997. Per il giudice vi è ‘”il fondato convincimento che il movente politico-terroristico costituisca in realtà un’abile operazione di dissimulazione dell’effettivo movente del rapimento”. Dopo anni il caso viene riaperto, con una clamorosa novità: la perquisizione della tomba di De Pedis, noto esponente della Banda della Magliana, che – a detta di alcune fonti investigative – sarebbe stata coinvolta nel sequestro; o forse più probabilmente nelle indagini successive al sequestro. Nella cripta della basilica romana di Sant’Apollinare venne effettuata nel 2012 l’ispezione e la traslazione della salma. Effettivamente c’erano altri resti umani ma nessuno riconducibile alla Orlandi così come sancito dopo una lunga serie di esami.

Un altro buco nell’acqua, l’ennesimo. Due storie ormai sepolte dalla polvere degli anni, dai depistaggi, da segreti inconfessabili. E sulle quali, probabilmente, non sapremo mai la verità.